I dati delle iscrizioni per l’anno scolastico 2020-21 indicano ancora un trend negativo per gli istituti professionali. Hanno perso 10 punti in 10 anni. Da oltre 22 punti percentuali stabili siamo scesi all’attuale 12,9%.
Il declino parte da lontano e le ragioni sono complesse, come abbiamo spiegato in un precedente articolo. All’epoca del governo Renzi, si è cercato di porre rimedio con la revisione dei percorsi. Il D.lvo 61/2017, collegato alla Buona Scuola, è entrato in vigore a partire dalle classi prime funzionanti nell’anno scolastico 2018/2019.
Visti gli errori precedenti e la poca attrattiva per l’utenza, il Decreto punta all’obiettivo di “un saper fare di qualità” in stretta relazione col territorio, evitando sovrapposizioni sia con gli istituti tecnici, sia col sistema di IeFP di competenza delle Regioni. I cardini della revisione sono: la ridefinizione degli indirizzi, l’incremento delle ore di laboratorio e un innovativo assetto didattico (aggregazione delle discipline all’interno degli assi culturali nel biennio, e, nel triennio, delle discipline di istruzione generale; progettazione interdisciplinare dei percorsi didattici per unità di apprendimento).
Si può contrastare il declino dei professionali? Lo abbiamo chiesto a Doriano Zordan, segretario dello Snals di Vicenza, che ha anche “le mani in pasta” in quanto docente a part time proprio in un istituto professionale.
- Perché la “revisione” del 2017 finora non ha portato all’inversione di tendenza rispetto al calo continuo?
Tutto si è tradotto in un aumento del lavoro burocratico per il personale della scuola. Il D.lvo 61/2017, pur raddoppiando le ore di laboratorio, non ha ridotto il numero complessivo ed eccessivo delle materie, e le valutazioni per assi culturali non hanno risolto il problema.
- Quali sono i problemi relativi al nuovo assetto didattico?
Il D.lvo 61/2017 prevede un Progetto formativo individuale, redatto dal consiglio di classe e coordinato da un docente tutor, allo scopo di aggregare le discipline e lavorare secondo una progettazione interdisciplinare, con l’organizzazione di unità di apprendimento, che rappresentano il riferimento per la valutazione e per il riconoscimento dei crediti. Insomma tutto un nuovo modo di operare, al quale i docenti non sono abituati, e un sovraccarico di lavoro.
- Almeno è stata fatta la formazione per abituare i docenti a lavorare al “Progetto formativo individuale” e in modo interdisciplinare?
No, questo è un punto debole. Sono state fatte varie conferenze di servizio per gestire gli organici e risolvere alcune anomalie che si sono verificate con la riduzione oraria di alcune materie, per esempio inglese, ridotto di un’ora dal terzo anno in poi.
- Che cosa pesa di più nella scarsa attrattività degli istituti professionali?
Gli investimenti nei laboratori sono insufficienti. Dagli anni Ottanta non sono stati fatti investimenti per rimodernare i laboratori degli istituti professionali adeguandoli alle tecnologie aziendali dell’industria 4.0. Nei laboratori di meccanica, ci sono macchine risalenti addirittura agli anni Sessanta. Pertanto, anche quando ci troviamo in presenza di alunni di scuola media interessati al professionale, la visita dei laboratori in fase di preiscrizioni non aiuta certo ad invogliare la scelta definitiva.
- C’è un modo per incrementare i necessari investimenti nei laboratori?
Solo recentemente si sta muovendo qualcosa. Le aziende, allarmate da una carenza generalizzata di figure specializzate da inserire nei cicli produttivi, cominciano a sollecitare la politica e le associazioni di categoria a trovare investimenti per laboratori e strumentazioni al passo con i tempi. Inoltre, investire negli ambienti di apprendimento e nei laboratori è necessario per questioni di sicurezza. Come sindacato Snals-Confsal, abbiamo già fatto delle proposte concrete al Miur per mettere in sicurezza i laboratori delle scuole e per dotarli di attrezzature adeguate agli standard.
- Che cosa non funziona nella fase di orientamento in entrata?
Come insegnante di meccanica, che si occupa di orientamento in entrata, ho costatato che i fattori che maggiormente incidono nella scelta del percorso scolastico dopo la scuola media, sono l’immagine dell’istituto, la condizione della struttura e il livello tecnologico delle macchine e della strumentazione contenuta nei laboratori.
È difficile combattere il pregiudizio delle famiglie che iscrivono i propri figli ai licei o ai tecnici, credendo che il professionale prepari a un lavoro poco gratificante e basato sulla sola manualità. Oggi nelle aziende si usano macchine e strumentazioni di alto contenuto tecnologico. Ma come si può essere convincenti se le scuole non sono adeguatamente attrezzate?
Notiamo poi una certa diffidenza da parte delle famiglie a iscrivere i propri figli nei nuovi percorsi e indirizzi previsti dalla riforma.
- I Cfp (Centri di formazione professionale gestiti dalle Regioni) hanno un continuo aumento di iscritti, mentre gli Istituti professionali di stato sembrano meno competitivi, perché?
È troppo alto il numero di alunni per classe nei professionali di stato rispetto ai Cfp. Anche il rapporto alunni-classe incide fortemente nella scelta al momento dell’iscrizione. Imparare una professione in una classe di 25 alunni (con casi problematici in aumento e un gran numero di ripetenti provenienti da tecnici e licei) è ben diverso che impararla in una classe di 15. Negli anni Ottanta e Novanta i numeri degli studenti per classe non superavano mai i 20. Gli stessi Cfp oggi funzionano con numeri medi di 15 alunni e non superano mai i 20.
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