Lo sciopero degli insegnanti continua anche in questa parte dell’anno scolastico. Si gioca l’ultima partita nella zona “off limits” degli scrutini di fine anno. Tutto questo, molto probabilmente poteva essere evitato se il Governo, capeggiato da Matteo Renzi, fosse stato ben più condiscendente alle idee e proposte serie, suggerite e formulate dagli insegnanti e dai sindacati della Scuola.
La protesta è pressoché unanime. Adesso si cerca di addolcire i toni e gli animi perché molto probabilmente al Senato, lo stesso Governo ha una maggioranza piuttosto risicata.
Si cerca di perdere tempo perché gli emendamenti presentati dai Senatori sono oltre 2000 ed in questa sede gli stessi vogliono vagliare attentamente ogni singola cosa, ogni punto del Ddl Scuola. Almeno, così pare di capire.
Insomma, lo sciopero degli insegnanti non è ancora terminato. Non si arrendono gli 800mila docenti che hanno scioperato il 5 maggio di questo anno. Dopo lo sciopero che ha visto migliaia di docenti “marciare pacificamente” contro il Ddl Scuola imposto dall’alto del Governo di centro-sinistra (PD), gli insegnanti si sono dati appuntamento in ogni parte d’Italia con sit-in, manifestazioni di piazza, protesta davanti alle Prefetture, fiaccolate e notte bianca, flash mob, cortei e ogni altra iniziativa per scongiurare l’approvazione del Ddl Scuola che attualmente è in direttiva di arrivo al Senato della Repubblica.
Dai capoluoghi di regione alle province, dalle province ai singoli paesi e comunità montane sparse qua e là sul territorio italiano, sembrano essere tutti d’accordo: “il Ddl va rivisto in ogni sua parte ed alcuni punti che questo Governo riteneva salienti, andranno cancellati e riscritti dalla maggioranza o dall’opposizione”.
Ma per fare tutto questo occorre del tempo. Tempo che allo stato attuale delle cose “scarseggia”.
Il Ddl Scuola avanzato in modo “precipitately” dalla Camera dei Deputati non ha trovato parere favorevole anche al Senato della Repubblica.
Vediamo di ripercorrere alcune tappe di questo malcontento generale che regna in tutta Italia.
In un primo momento, il Governo di centro-sinistra ha proposto il Ddl Scuola senza interpellare i veri «protagonisti della scuola», ossia gli insegnanti, le associazioni degli insegnanti, i sindacati tutti. Ha concepito questa riforma della scuola inserendo “forcibly” l’assunzione dei precari.
Si tratta di circa 100 mila persone, lasciando fuori da questo raggruppamento altri 60 mila docenti che in questi anni hanno lavorato a fianco dei colleghi a tempo indeterminato, nella speranza che i politici di opposizione, la minoranza di questo Governo, i sindacati e gli attori principali della “vita di classe” potessero dare il loro “beneplacito” sull’intero documento. Così non è stato.
Secondo i sindacati della Scuola, i politici di opposizione e lo stesso corpo docente hanno affermato sin da subito che le due cose dovevano essere “scisse” sin dall’inizio e non inseriti nello stesso «government package». Ma non è l’unico punto in discussione. Agli insegnanti non convince l’«albo territoriale» nel quale dovranno confluire tutti i docenti da assumere, in attesa che qualche dirigente scolastico di «buona volontà» possa scegliere l’insegnante giusto per la sua scuola, guardando semplicemente il «curriculum» e senza una vera posizione con il relativo punteggio in questa graduatoria.
Riflessi negativi anche sulla nomina che non è a “tempo indeterminato” ma semplicemente con “contratto triennale”. Insomma tutto questo porterà senza alcun dubbio ad un “nomadismo triennale degli insegnanti». Il bello è che in questo elenco territoriale, non vi saranno solo i nuovi insegnanti da assumere ma confluiranno anche i docenti di vecchio stampo con decine di anni di servizio se questi saranno in soprannumero nella Scuola di attuale titolarità.
Un altro punto che non convince gli insegnanti sono le “deleghe in bianco al Governo”. “E’ come firmare un assegno senza inserire l’importo…”, è il commento che fanno gli insegnanti. La cosa più insensata che ci possa essere in un Ddl Scuola.
Insomma, punti sui quali gli insegnanti non mollano. Questi punti, uniti ad altri, portano gli insegnanti ad un momento di sciopero e di malcontento generale che di riflesso si inserisce negli scrutini di fine anno.
Anche gli onorevoli Deputati dell’opposizione di questa 17ma Legislatura ci provano con emendamenti migliorativi ma, come accade da sempre, chi è in minoranza deve solo subire.
Gli ordini ricevuti sono quelli che “il DdL Scuola non deve contenere nessun cambiamento”.
Anche se i politici di minoranza dicono qualcosa di “sensato”, di “costruttivo” non devono poter entrare in un Ddl portato avanti da uno schieramento politico diverso. Probabilmente è questo il «diktat» che hanno ricevuto dall’alto. E così è stato. Le proposte che provenivano dalla minoranza del Governo quindi dall’opposizione, sono state tutte “rigettate” uno dopo l’altro. Alcuni Deputati dell’opposizione, ad esempio il M5S, SEL ed altri, lamentano il fatto che non c’è stato nemmeno il tempo per farsi ascoltare con le loro proposte in commissione. Insomma in due-tre giorni si è approvato un DdL Scuola assai complesso nella sua struttura che meritava per lo meno una trentina di giorni di discussione seria.
Il DdL Scuola passa così, come una “stella cadente” di San Lorenzo, a pieni voti dalla Camera dei Deputati al Senato della Repubblica, lasciando di stucco sia gli insegnanti che i politici avversari, senza potersi esprimere. Dopo alcune settimane la politica entra nel vivo, ed il malcontento degli insegnanti entra nell’urna dove ogni cittadino esprime liberamente il proprio voto, secondo coscienza. Non c’è stato un vero boato politico ma solo di un leggero tremolio forse perché si è votato solo in alcune Regioni: Puglia, Campania, Toscana Liguria, Veneto, Marche ed Umbria. Molto probabilmente, di natura diversa sarebbe stato se le elezioni fossero state a carattere nazionale.
Si cerca a questo punto di calmare gli animi degli insegnanti limando qua e là il DdL originario ma non più di tanto: i poteri dei dirigenti scolastici vengono un tantino ridimensionati affermando che ogni due trienni il dirigente dovrà cambiare scuola e qualche altro punto insignificante.
Ma loro, gli artefici principali delle scuole italiane continuano a manifestare contro in alcune realtà, anche attraverso il blocco degli scrutini finali.
Ad Majora!
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