Sulla bozza della delega della legge 107 sulla valutazione, attualmente in discussione alle camere, c’è un passaggio che riguarda le bocciature eventuali alla scuola primaria.
Nelle settimane precedenti alcuni avevano mosso “l’accusa” del numero scarso di bocciature alle scuole elementari. In realtà in base all’indagine del Miur, nell’ultimo anno scolastico sono stati bocciati 11 mila bambini, un numero non indifferente a cui bisogna prestare attenzione.
La bozza della delega recita: “nella scuola primaria, i docenti della classe in sede di scrutinio, con decisione assunta all’unanimità possono non ammettere l’alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione”.
Ma la domanda che ci si pone è questa: è giusto bocciare alle elementari? Non sarebbe il caso invece di comprendere il motivo dei brutti voti, delle assenze e dello scarso impegno per cercare di tenere a scuola questi bambini?
La situazione deve essere letta da una prospettiva molto più ampia, ovvero che una bocciatura alla primaria può solo “aprire le porte” verso la dispersione scolastica e l’Italia, come ci ricorda l’Ue, è fra gli stati con il tasso di abbandono e dispersione più alto del continente.
Come riporta La Repubblica, secondo l’ultimo report del Miur sulla dispersione scolastica, l’identik degli scolari considerati a maggior rischio di abbandono corrisponde a due profili ben precisi: stranieri e ragazzi delle regioni più povere del Sud Italia.
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Pertanto, sembra controproducente iniziare a sbarrare la strada già alle scuole elementari, dove spesso le situazioni difficili di queste regioni comportano disagi ai bambini e quindi sarebbe meglio accoglierli in classe e fare di tutto per far raggiungere loro la preparazione sufficiente.
In realtà sono molti gli insegnanti e i dirigenti ad essere d’accordo su questo punto, come la dirigente dell’Istituto comprensivo Falcone dello Zen di Palermo: “non serve a niente, afferma la dirigente come riporta La Repubblica, e non ci si può accorgere a giugno che qualcosa non va. Se un bambino non ha raggiunto gli obiettivi minimi, significa che qualcosa non ha funzionato. E non credo che le colpe siano sue. Non sempre le famiglie sono in grado di collaborare. E’ un lavoro che va fatto a scuola”.
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