Bocciare sì, bocciare no.
Il problema non è così netto come sembra, ma vanno fatti dei distinguo. Altrimenti non si sa a chi dar ragione: a chi dice che senza bocciatura non c’è crescita formativa o a chi dice che la scuola deve farsi carico delle masse povere.
Il dibattito nasce da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera che accusa la scuola di non selezionare e di promuovere tutti, anche sulla scorta di quanto dice un professore pugliese che è stato prima sospeso dal dirigente scolastico perché metteva voti bassi e poi riabilitato dal giudice.
Il suo assunto è: “Se tutti gli studenti avessero i voti che meritano non verrebbe promosso più del 20 per cento”. Galli della Loggia contesta l’ideologia dell’’inclusione’ che è diventato uno degli obiettivi primari della scuola e assevera che i dirigenti scolastici spingono per le promozioni perché vengono valutati sulla base del numero dei promossi. Tutto questo sarebbe imposto dalle disposizioni ministeriali.
Allora, cominciamo a fare il primo distinguo: è giusto non bocciare, secondo me, nella scuola di base (scuola primaria e scuola secondaria di I grado o scuola media che dir si voglia).
La scuola che non porta ai livelli minimi di competenza linguistica e scientifico-matematica tutti gli alunni è una scuola da bocciare.
E’ giusta quindi la disposizione ministeriale di non bocciare alle elementari se non in casi eccezionali. Io estenderei questa disposizione anche alla scuola media, che è un’età critica per i ragazzi. Un insuccesso, a questa età, può portare anche al suicidio e mina l’autostima. Qualcuno obietta: ma allora che senso ha l’esame di licenza media? Infatti, così com’è, non ha senso: va semplicemente abolito perché inutile.
Altra obiezione: se gli alunni sono comunque promossi, perché devono faticare a studiare? Alle medie va introdotto il principio di responsabilità. Chi ha delle lacune, dovrà recuperarle partecipando obbligatoriamente a progetti di recupero pomeridiani o estivi.
La selezione (severa) deve avvenire alle superiori. Qui ha ragione lo storico Galli della Loggia a dire che la scuola è diventata troppo permissiva e non seleziona più, ma sbaglia bersaglio.
Il problema non è l’obiettivo (sacrosanto) dell’inclusione o la spinta dei presidi a promuovere. L’ideologia perversa che ha creato problemi alla scuola superiore e l’ha livellata verso il basso, è quella di aver dato la possibilità a tutti di scegliere liberamente il proprio percorso scolastico, senza tener conto delle proprie attitudini e del giudizio d’ammissione da parte degli insegnanti, con il fraintendimento che così si dà opportunità a tutti per il successo formativo.
Occorre introdurre un sistema di orientamento che spinga i ragazzi a percorsi differenziati già alle medie. La media unificata, che viene glorificata come grande traguardo democratico del centrosinistra (1962), è stata, secondo me, un grosso errore.
Si è pensato di portare tutti al liceo e all’università e ci troviamo con laureati che non sanno scrivere e non conoscono la storia. Si è pensato che tutti potessero andare all’università e abbiamo in Europa una delle percentuali più basse di laureati.
Altro errore è stato estendere l’obbligo d’istruzione a 16 anni e abbiamo una dispersione scolastica dai 14 ai 16 anni spaventosa. Ancora più grave sarebbe estendere l’obbligo d’istruzione, come alcuni auspicano, a 18 anni.
Altra cosa è l’obbligo formativo che deve valere per tutti. Ma dove sta scritto che devono diventare tutti laureati o sfaccendati o sottoccupati (perché alla laurea ormai non corrisponde il lavoro che si addice) e dobbiamo appaltare agli stranieri il lavoro di muratore, falegname, elettricista, fabbro, idraulico, cameriere.
Non è una discriminazione questa? Perché il lavoro manuale deve esser considerato inferiore al lavoro intellettuale? Una sinistra che in passato faceva della classe operaia il perno della sua rivoluzione, ha svalutato poi nelle proposte che fa sulla scuola quel lavoro manuale che pure esaltava.
E’ un paradosso, ma è un paradosso che non si può sciogliere abolendo il titolo legale della laurea, cioè svalutandola. Occorre recuperare la selezione in senso orientativo e non è detto che il figlio del povero debba necessariamente esser portato al lavoro manuale e il figlio del ricco al liceo.
E’ più facile, con il sistema vigente, che, non dando una prospettiva di lavoro a chi non ha niente, lo si conduca nelle braccia della criminalità che almeno un lavoro lo offre.
Il grosso problema della scuola italiana, per ridarle credibilità e rispetto, è quindi ridare allo studio e alla formazione una prospettiva di lavoro, a meno che non si pensi che il futuro ci porti all’abolizione del lavoro in quanto verrà svolto dai robot.
In quest’ultimo caso, lo studio diventerebbe solo una passione in senso umanistico e avrebbe valore solo per chi vuole coltivarlo. Ognuno sarebbe libero di studiare o meno. Come mangiare però, senza lavorare, sarà il problema del futuro(ma già per molti è quello del presente).
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