È di questi giorni la denuncia dei Cobas della scuola della provincia di Bolzano, apparsa anche su “Tecnica della Scuola” con il titolo “….nella provincia di Bolzano discriminati i docenti di madrelingua italiana.”
Articolo che tratta prevalentemente dei docenti precari e dell’imminente nuovo concorso riservato concludendo: “Non tutti i cittadini dunque hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge: per stabilizzare il personale insegnante, il Ministero opera una distinzione di lingua, una discriminazione etnica. Per essere meritevoli, in Italia bisogna essere di madrelingua tedesca o ladina”.
Viene chiamata in causa la Commissione Europea, che – è scritto – “probabilmente ignora che con decreto legislativo 18/2018, che va ad integrare il D.P.R. 89/83 con l’art. 12/bis, la Provincia Autonoma di Bolzano ha ottenuto la delega per disciplinare “la formazione iniziale degli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado dei tre gruppi linguistici della Provincia di Bolzano” istituendo i “relativi percorsi formativi abilitanti e specializzanti” e autorizzando “la Libera Università di Bolzano o il Conservatorio di musica alla loro attivazione”, tale per cui “l’abilitazione e la specializzazione conseguite secondo i percorsi formativi stabiliti dal comma 1 hanno la validità su tutto il territorio nazionale”.
Ma la carriera professionale degli insegnanti non si limita alla stabilizzazione, comprende anche diverse altre fasi e successive opportunità: dovremmo quindi discutere anche di mobilità, di concorsi vari, incarichi e ruoli.
Considerando che particolarmente rilevante è quando questi “principi” investono un sistema di istruzione che dovrebbe educare al contrario, alla non discriminazione e alle pari opportunità.
Considerando che parliamo di insegnanti ma anche infine di studenti, che subiscono di riflesso, in un territorio dove già troviamo un diverso sistema di valutazione (dal 4 al 10) e diverse regole per le iscrizioni nella scuola sulla base, nuovamente, dell’appartenenza linguistica.
Non so come i colleghi di altre regioni interpretino i diversi trattamenti per gli insegnanti di questa provincia autonoma, che magari, a loro volta, avvertono talvolta come iniqua questa situazione, alimentando insoddisfazione diffusa.
Senza voler dare giudizi di merito, inoltre, se tali differenze già sono discutibili in un’ottica di equilibrio tra Stati europei e relativi sistemi scolastici, a maggior ragione lo sono se si ritrovano all’interno del medesimo sistema nazionale.
Quanto vogliamo ancora ignorare? In Europa, ma anche in Italia?
E per quanto riguarda le regioni con diverse comunità etniche residenti, che sono molte nelle aree di confine e ognuna con problematiche e storie simili, seppur diverse, non dare piuttosto delle linee guida comuni?
Simonetta Lucchi
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