La certezza dell’incertezza. Male endemico del nostro modo di intendere leggi, norme, regole, responsabilità. “Mo’ vediamo…”.
Da un lato la Legge 107 sulla “Buona Scuola”, sul famoso bonus ai docenti giudicati “bravi”, dice espressamente che è compito del nuovo Comitato per la Valutazione dei docenti stabilirne i criteri, per lasciare poi al preside la responsabilità della loro applicazione, dall’altra il mondo sindacale ribadisce, a piè spinto, che, trattandosi di “salario accessorio”, lo stesso bonus andrebbe contrattato con la Rsu.
Piccole domande preliminari, per essere in grado di rispondere: qual è il valore di una legge? Al di là che piaccia o meno. Devo rispettare solo le leggi che condivido? Perché tentare di svuotarla, cercando la sponda del Ministero? Vale più una legge (che ha valore universale) o un contratto (relativo alle parti interessate)? Dovrebbe essere chiara, è, meglio, chiara e cristallina la risposta sul primato della legge, per il suo valore universale.
Basterebbe leggere il Critone di Platone, con due o tre passaggi del vecchio e saggio Socrate. Ma tant’è, siamo in Italia.
Bel pasticcio, dunque, perché è evidente che quando le norme ingenerano diverse interpretazioni vuol dire che non sono scritte bene. Altro modo per dire che non sono scritte bene per favorire la vera prassi giuridica: “fatta la legge, trovato l’inganno”?
Il tentativo di queste settimane è quello di far rientrare dalla finestra ciò che la lettera della legge 107 esclude, cioè la contrattazione del bonus, cioè non solo del FIS, cioè del fondo di istituto di ogni scuola.
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Come se ne esce? Non certo alimentando lo scontro, come sta invece avvenendo, ma chiarendo una volta per tutte. Sarà la giurisprudenza, a seguito di nuovi contenziosi?
Ma la scuola ha bisogno di nuovi contenziosi. O questi servono solo a giustificare ruoli che, nel nostro contesto che cerca faticosamente di uscire dall’ombra assistenzialistica, sono diventati sempre più marginali? Parlo del ruolo dei sindacati, essenziali in una democrazia matura, ma se non sono più chiusi a riccio su se stessi.
Parlo dei sindacati scolastici, mentre gli altri comparti oramai sono allenati ad un contesto da “società aperta”. Perché i nostri sindacati della scuola sono difensori di un vecchio finto egualitarismo, a favore del “docente mediocre”, con tutti quindi lo stesso stipendio, al di là della passione, dedizione, del fatidico “merito”. Il quale va valutato sulla base dei risultati, cosa oggi impossibile, con adeguate forme di customer satisfaction, in un contesto di rendicontazione e di bilancio sociale. Chi parla mai di queste cose? Non dovrebbe essere, un sindacato, estremo difensore della professionalità?
Per cambiare i sindacati basterebbe, in un provvedimento sulla rappresentanza, introdurre due piccoli emendamenti: il limite dei mandati sindacali (perché quello del sindacalista non può diventare un lavoro a vita) e la decadenza in caso di pensionamento. Basterebbero questi due piccoli emendamenti. Avremmo sindacati che puntano realmente al valore della professionalità dei propri associati.
Gianni Zen è dirigente scolastico del liceo Brocchi di Bassano del Grappa
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