Boom disoccupazione giovanile, con una scuola efficiente si ridurrebbe del 40%
In Italia il 40% della disoccupazione giovanile è imputabile al difficile rapporto tra scuola e mondo del lavoro: a rilevarlo è la ricerca “Studio ergo Lavoro”, condotta da ‘McKinsey & Company’, che è andata ad esplorare i motivi alla base della sempre più alta percentuale di giovani italiani senza lavoro. Dalla ricerca, che verrà presentata all’opinione pubblica martedì 28 gennaio ed ha coinvolto un vasto campione, si evince come “le cause del problema della disoccupazione giovanile (tra i 15 e i 29 anni) siano solo in parte riconducibili alla recente crisi economica. Al contrario, il fenomeno è radicato nel nostro Paese da lungo tempo e ha natura strutturale: negli ultimi vent’anni, infatti, la probabilità per un giovane sotto i 30 anni di essere disoccupato è risultata essere stabilmente 3,5 volte superiore alla popolazione adulta (la media europea si attesta a 2)”.
“La componente strutturale – continuano i ricercatori – rappresenta circa il 40% del tasso di disoccupazione giovanile complessivo (oggi al 28% tra gli under 30) e affonda le sue radici nel disallineamento tra capitale umano formato dal sistema educativo e necessità attuali e prospettiche del sistema economico del Paese”. Tra le cause principali all’origine della difficile transizione dei giovani dalla scuola al mondo del lavoro, viene indicato lo “sbilanciamento quantitativo tra domanda delle imprese e scelte dei giovani: molte posizioni restano vacanti a causa dei pochi candidati disponibili”, in quanto troppi giovani italiani non avrebbero “piena consapevolezza delle implicazioni lavorative di tale scelta”.
Basti pensare che “solo il 38% degli studenti intervistati conosce le opportunità occupazionali offerte dai vari percorsi scolastici. Il risultato è un disallineamento tra domanda e offerta, evidente in particolare per i diplomati tecnici e professionali”. Il gap domanda-offerta si riscontra “anche nella scelta del percorso universitario: meno del 30% degli universitari sceglie l’indirizzo di studi sulla base degli sbocchi occupazionali”.
Dalla ricerca emerge, inoltre, la “carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico. Solo il 42% delle imprese italiane ritiene che i giovani che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro abbiano una preparazione adeguata. Nel 47% dei casi (rispetto a una media europea del 33% e al 18% del Regno Unito), le aziende del nostro Paese ritengono che tali carenze abbiano un impatto negativo sulla loro attività. In particolare, lamentano un deficit di competenze generali (non solo la padronanza delle lingue straniere e della matematica di base, ma anche capacità analitiche, intraprendenza e autonomia, etica e deontologia professionale) e di esperienza pratica”. A tal proposito, “in Italia stage e tirocini hanno una durata inferiore a un mese in quasi il 50% dei casi nella scuola superiore e in circa il 30% dei casi all’università, e coinvolgono solo la metà degli studenti d’istruzione secondaria e terziaria”.
Secondo ‘McKinsey & Company’ è quindi “necessario intraprendere un piano d’azione sia a livello nazionale sia mirato su territori, distretti o filiere specifiche, che intervenga su più ambiti: offerta formativa adeguata alla domanda, informazione diffusa e trasparente, rivalutazione delle scuole tecniche e professionali, stretta collaborazione tra scuola e lavoro (con giovani e insegnanti in azienda e datori di lavoro nelle scuole), servizi di orientamento per gli studenti, efficacia dei canali di collocamento dei giovani sul mercato”. Il tutto “coinvolgendo in modo sistematico i giovani, le famiglie, le scuole, le imprese, le associazioni di categoria e i canali di collocamento presenti sul territorio”.
“I dati provenienti da questa ricerca nazionale – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – confermano quanto il nostro sindacato sostiene da tempo. E conferma quanto indicato con il dossier Anief-Confedir di inizio 2014: negli ultimi cinque anni il numero di giovani disoccupati è raddoppiato e senza una controriforma della scuola andrà sempre peggio. È evidente, infatti, che sull’attuale deriva formativa dei nostri giovani hanno pesato tantissimo la riforma Gelmini e i tagli draconiani attuati dai Governi sull’istruzione pubblica”.
“I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la scarsa preparazione di base dei nostri studenti aggravata dalle riduzione delle ore e del tempo scuola; la riduzione di competenze, peggiorata dalla cancellazione delle copresenze e del docente specializzato in inglese nella scuola primaria; la riduzione di fondi per l’orientamento scolastico, che ha inciso sull’altissimo numero di abbandoni scolastici nel biennio delle superiori; la mancanza di esperienze vere di stage e di scollegamento tra scuola e università. Ma il nostro Governo continua ad avere nel mirino altre ‘voci’ di tagli: è invece giunto il momento di tornare ad investire nella formazione, puntando – conclude Pacifico – proprio su apprendistato, tempo scuola, professionalità e competenze dei nostri docenti”.