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Boom domande di pensione, i motivi della fuga da una professione sempre più “stretta”

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A cosa si deve l’impennata delle richieste di pensionamento in arrivo, che ha portato a presentare oltre 35mila domande, con decorrenza 1° settembre 2018? L’incremento medio di candidature, pari a circa il 30% in più rispetto al 2017, con province dove ha superato il 50%, appare decisamente troppo consistente per pensare ad una tendenza fisiologica.

Claudio Parasporo, segretario generale della Uil Scuola Sicilia, ha provato a rispondere per la sua regione, una di quelle dove le richieste sono state davvero in alto numero. Le sue acute riflessioni, comunque, potrebbero tranquillamente essere adottata su scala nazionale.

La perdita di dignità nello svolgimento delle proprie funzioni

“Prima di parlare di un’improbabile fuga verso la pensione da parte del personale docente e amministrativo tecnico e ausiliario in servizio – ha detto il segretario generale – occorrerebbe analizzare tutte le criticità della scuola siciliana: vissute ormai come normali e abituali da parte della collettività, per i lavoratori hanno invece significato la progressiva perdita di dignità nello svolgimento delle proprie funzioni, come se formare i futuri cittadini siciliani fosse un compito marginale”.

In conclusione, secondo Parasporo il forte aumento delle richieste di pensionamento “sarebbe legato ai disagi sperimentati dal personale, a partire dall’inagibilità di molti plessi scolastici, dai doppi turni e dalle condizioni dei luoghi di lavoro”.

Disagi e troppi incarichi da assolvere

È impossibile, francamente, non essere d’accordo con le motivazioni espresse dal sindacalista siciliano, alla base delle richieste in sensibile aumento per lasciare il lavoro. Soprattutto su un punto: il disagio, che sconfina non di rado in vere e proprie patologie mentali.

Soprattutto perché oggi chi lavora a scuola, non solo i docenti, è sottoposto ad una dose di stress non indifferente. Dovuto sia alla complessità del lavoro, sia al solco sempre più profondo che si crea con le nuove generazioni prese da tantissimi input e poco inclini allo studio tradizionale, sia al fatto che si svolge una professione rivolta all’altro.

Tra i punti critici, che inducono docenti e Ata ad abbandonare il lavoro, vi sono però anche gli incarichi sempre in numero maggiore da assolvere (anche il nuovo contratto che sembra andare in questa direzione).

Anche gli stipendi bassi pesano

Poi figurano gli stipendi fermi e che a breve avranno una piccola integrazione, che per molti non arriverà agli 85 euro medi lordi pattuiti a fine novembre 2016 tra sindacati e Funzione Pubblica: la situazione economica avvilente è motivo, non di rado, nell’auto-convincersi che si svolge, anziché una professione preziosissima e di vitale importanza per i giovani e la società del futuro, un mestiere come tanti altri. Da cui, dopo i 60 anni, conviene andare via.

Insomma, i motivi della disaffezione dal lavoro a scuola, verso una professione che sta diventando sempre più “stretta”, sono tanti e pure in crescita. Così, chi ha l’opportunità lascia alla prima occasione. Anche per il pericolo di rimanere “incastrati” fino ai 67 anni e forse più.