Abbiamo intervistato la prof.ssa Marina Boscaino sulle problematiche riscontrate dall’attuazione della legge 107/2015 e sulle sorprese che arriveranno con le deleghe alla legge.
L’applicazione della legge 107/2015 sta provocando una profonda spaccatura all’interno delle scuole pubbliche, anche lei ha questa percezione? Quali ripercussioni potrebbero esserci?
Se è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, pare sia invece compito di questo Governo creare ostacoli per divaricare in maniera sempre più drammatica i destini delle persone, siano essi docenti o studenti. La scuola, con la 107, ha smesso di essere – attraverso la dismissione di democrazia scolastica, investimento marcato sull’inclusione e sui capaci e meritevoli, creazione di condizioni di identica potenzialità della dignità del lavoro tra i docenti – l’immagine di un modello di società che guardi al principio costituzionale cui prima alludevo. Ha assunto e fatto proprie, invece, le connotazioni, le fattezze del modello di società che ha in mente il Governo e – prima di lui – i poteri forti che egemonizzano l’Europa, deviandola ormai irreversibilmente dai principi che animarono coloro che la pensarono – dopo la guerra – altra da quella che è. Un modello divisivo, competitivo, di sopraffazione, di valutazione discrezionale e punitiva, con regole mutate in corso d’opera per ragioni demagogiche e manipolatorie.
Siamo effettivamente ad un bivio: o gli insegnanti – come minacciano di fare – chinano definitivamente il capo davanti all’arbitrio e alla distruzione di un modello di civiltà basata sul sapere disinteressato e libero, sulla collegialità, sulla valutazione formativa, sulla equiordinazione tra gli organi che vigilano sulla democrazia scolastica; oppure – ed è questa naturalmente la mia speranza – comprendono che una sterzata di orgoglio, dignità e passione è ancora possibile. Le due opzioni riproducono esattamente il clima che oggi si respira nella scuola, reso ancor più drammatico da una pervicace volontà divisiva che molti dirigenti scolastici stanno mettendo in atto: isolare i “contrastivi” (sic!) per dimostrare come essi nuocciano di fatto al quieto vivere della maggioranza silenziosa e/o acquiescente. Le ripercussioni più fatali saranno, ancora una volta sugli studenti, che rischiano di trovarsi in un ambiente che con la paideia non ha davvero quasi più nulla a che fare. Con le conseguenze che tutto ciò avrà sul futuro del nostro Paese, soprattutto in termini politici e culturali.
Lei si è adoperata, oltre ogni limite, per la raccolta delle firme del referendum per l’abolizione di alcune parti della legge 107/2015. Qualcuno sostiene che è stato un flop e che la Buona Scuola rimarrà in vigore per i prossimi 20 anni. Cosa risponde al riguardo?
Il numero delle firme che abbiamo raccolto non è sufficiente a garantirci che la Cassazione dia il via libera alla consultazione, ma questo non significa che abbiamo perso, e non solo perché, come si dice, la speranza è l’ultima a morire. Il fronte referendario ha mantenuto in larga misura lo spirito di movimento unitario che aveva caratterizzato la primavera del 2015 ed è stato occasione di mobilitazione politico-culturale quotidiana. Fare i banchetti, poi, ci ha messo in contatto con molti cittadini che comprendono l’importanza di una scuola pubblica e democratica e ci ha permesso di far capire ad altri la gravità dell’impronta autoritaria della Buona Scuola. La sorpresa più negativa è venuta proprio dagli insegnanti: i principali portatori di interesse di tutta la partita non hanno risposto all’appello se non in percentuale scarsa, in rapporto al loro numero – 700.000 almeno – e al numero di firme raccolto. I banchetti nelle strade hanno visto un’attenzione assai più significativa da parte della cosiddetta società civile di quella dimostrata da coloro che dovrebbero quotidianamente far fronte allo smantellamento, a colpi di 107, della scuola della Costituzione. Sulle cause di questa reazione occorre interrogarsi seriamente. Ma, intanto, abbiamo un’altra occasione. È evidente che il nuovo fronte aperto con la mobilitazione contro la de-forma costituzionale rappresenta una prospettiva interessante, anche per il rilancio di una convinta resistenza alla legge 107 e alle sue disfunzioni. La 107 rappresenta una delle “riforme” e degli attacchi al dettato costituzionale che un parlamento delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale contro il Porcellum ha imposto al nostro Paese. La scuola democratica ha l’obbligo etico e politico di partecipare alla campagna referendaria e lo farà con un proprio progetto, con propri materiali, con proprie iniziative, curvando il NO alla riforma costituzionale sui temi della scuola. Naturalmente coordinandosi con il comitato per il NO.
Qual è la norma che ritiene più incostituzionale della legge 107/2015?
Sul piano formale e giuridico altri sono più adatti di me a una disamina di questo tipo. Sul piano politico-culturale e professionale posso dire che tutta la logica della legge va contro i principi costituzionali fondamentali, perché – come ho già accennato – è portatrice di un’idea di scuola neoliberista, che valorizza la compiacenza sociale e il conformismo ideale, si subordina alle esigenze del mercato del lavoro assumendo il punto di vista del profitto. Certamente però il principio della libertà dell’insegnamento (normato dal primo comma dell’art. 33, contro il quale, ad esempio, comitato di valutazione e chiamata diretta da parte del dirigente confliggono gravemente) è messo seriamente in discussione dalla legge 107. A differenza di quanto la vulgata voglia farci intendere, esso non è un residuale privilegio di maestri e professori, ma un principio inserito dai Costituenti dopo la fine politica e la condanna morale del regime fascista a tutela dell’interesse generale, per garantire i giovani cittadini della Repubblica (e pertanto tutti i cittadini) contro ogni forma di pensiero unico e di indirizzo culturale autoritario, con il conseguente obbligo per ciascuna scuola di essere un’istituzione democratica, laica, pluralista, inclusiva. Tale principio rappresenta la garanzia della libertà dell’istruzione pubblica, perché ogni cittadino, senza distinzione di genere o di preferenze sessuali, di religione e così via (art. 3 della Costituzione), deve poter entrare senza disagio in ogni scuola della Repubblica, che esiste ed opera in nome e con le risorse di quest’ultima. Questo principio altissimo, su cui è stato fondato il profilo della scuola statale italiana, è stato violato dal governo in misura così pesante che moltissime ed autorevoli voci si sono levate a sottolineare la possibile incostituzionalità della sedicente Buona scuola.
Pensa che se dovesse vincere il NO al referendum per le riforme costituzionali, ci possa essere ancora speranza per una nuova riforma della Scuola nel verso di una maggiore democrazia collegiale?
I Comitati per la LIPSCUOLA hanno aderito alla campagna per il NO alla deforma costituzionale con grande convinzione e attivismo. Noi, inoltre, una proposta di riforma in termini di indirizzo l’abbiamo, la nostra Legge di Iniziativa Popolare per una buona scuola per la Repubblica, che stiamo terminando di riscrivere e su cui raccoglieremo le firme al più presto, tornando nelle piazze. Se il governo sarà sconfitto, infatti, vi saranno forse le condizioni perché le forze politiche che si candideranno per l’alternativa costruiscano insieme a noi un percorso politico per il ripristino delle condizioni di democrazia nella scuola.
Pare che con le deleghe della legge 107/2015, si completi la riforma della scuola con quella degli organi collegiali e del Testo Unico…Quali sorprese pensa si potrebbero materializzare all’orizzonte?
Immagino un allarmante completamento dell’opera. L’uso improprio e irresponsabile che da anni le componenti della scuola – docenti, Ata, studenti, genitori – hanno fatto della democrazia scolastica, mortificando spesso gli organi collegiali trasformati da strumenti di partecipazione consapevole e pluralismo in luoghi in cui esperire con disattenzione e noncuranza pratiche “liturgiche” e svuotate del loro senso più alto rende più facile per i cantori del Pensiero Unico e della scuola-azienda entrare a gamba tesa sul depotenziamento definitivo degli stessi, già ampiamente tentato e portato avanti dalla 107: si pensi ai super poteri del ds e alla sua funzione molto più incisiva nel collegio dei docenti. Ricordo anche che la prima stesura della legge relativamente al bonus premiale prevedeva un pronunciamento esclusivo da parte del Dirigente scolastico e che la “foglia di fico” del comitato di valutazione con la rappresentanza delle componenti scolastiche (che in realtà indicano solo sulla base di criteri prestabiliti dal dispositivo giuridico quali adottare, lasciando comunque al ds praticamente immutata la discrezionalità di decidere a suo piacimento chi premiare e chi no) è stato un demagogico passo indietro concretizzato nella stesura finale nel tentativo di evitare il dissenso che comunque si manifestò nella primavera del 2015. È chiaro che quella prima scelta costituì un lapsus indicativo, sulla falsariga del quale i nostri “riformatori” continueranno il loro percorso di devastazione della Scuola della Repubblica. Immagino inoltre una possibile entrata a gamba tesa su questioni di carattere contrattuale, a cominciare dall’orario di lavoro. Del resto, come dimenticare che il progetto dell’allora sottosegretario Reggi, di 2 mesi precedente alla pubblicazione dell’orrido PDF “La Buona Scuola” sul quale si simulò un “ascolto” mai realmente avvenuto e tantomeno rendicontato, rispolverava la proposta indecente del ministro Profumo, aumento delle ore di lezione a parità di salario? Del resto, parliamoci chiaramente: la coperta è corta, la pazienza dell’Europa è alle corde, le promesse sono state moltissime; da qualche parte si dovrà procedere al taglieggio di lavoro e dignità. Inoltre io ritengo che faccia veramente parte della mentalità dei dirigenti politici di maggioranza del nostro Paese – e, ahimé, anche di alcuni nostri colleghi – il fatto che la scuola sia un’azienda, in barba alla sua specificità (cultura, educazione, cittadinanza critica destinata ai cittadini del futuro) e al sapere emancipante, viatico di uguaglianza sostanziale. E un’azienda che si rispetti deve pur sempre rispondere a criteri di efficienza e profitto economico. Sta a noi desiderare talmente tanto che i nostri studenti diventino cittadini e non sudditi, come li vorrebbero, e – al tempo stesso – rivendicare la nostra dignità professionale e l’alta funzione della scuola pubblica, organo dello Stato, da non gettare la spugna e continuare a impegnarci perché i principi costituzionali – sulla scuola, sul lavoro, sull’uguaglianza e la solidarietà – possano (nonostante il pauroso arretramento degli ultimi 20 anni) tornare ad essere praticati e praticabili realmente. Votare NO al referendum dal mio punto di vista potrebbe voler dire anche sostenere questa possibilità e alimentare la speranza di un futuro anche la legge 107 (come abbiamo civilmente chiesto in tutti i modi, completamente inascoltati) possa essere ridiscussa.
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