La decennale questione che attanaglia lo stato di diritto di alcuni paesi UE, come Polonia e Ungheria, vede nuovi sviluppi a seguito dei provvedimenti normativi emanati dai singoli esecutivi e dipartimenti scolastici locali, specialmente da quelli magiari. Le leggi appena approvate dal parlamento mettono un freno alla presunta “propaganda LGBT+ nelle scuole” scatenando una vera e propria crisi diplomatica tra l’UE ed i paesi di Visegrad circa lo stato di diritto; questione che rischia di far regredire già il complesso dialogo tra Bruxelles e Budapest.
I diritti della comunità LGBT+ non rientrano, a quanto pare, tra le priorità degli esecutivi di Varsavia e Budapest, che sembrano remare nella direzione opposta, limitando o interrompendo quei programmi istituzionali che mirano a sradicare discriminazione, violenza e fobia nei confronti delle comunità sopracitate. L’emanazione di provvedimenti relativi al mondo della scuola ha provocato una crisi, relativa allo stato di diritto ed alle libertà fondamentali dei cittadini dell’UE, tra Bruxelles e Budapest; Varsavia segue i provvedimenti magiari, schierandosi contro le manifestazioni e le iniziative organizzate dalla comunità LGBT+, soprattutto in ambiente scolastico, dove si mira a sensibilizzare i futuri adulti e cittadine circa la questione aperta della discriminazione e della violenza nei confronti delle persone non eterosessuali.
Il governo magiaro, con il quasi totale sostegno dell’attuale parlamento in carica, ha fatto votare numerosi provvedimenti relativi allo status della comunità LGBT+ ed ai rispettivi diritti negli scorsi anni. Questi, in particolare, erano volti a limitare i permessi per svolgere manifestazioni pubbliche, campagne di sensibilizzazione e per allestire ambienti a ciò dedicati. Dal 2020 l’esecutivo di Viktor Orbàn ha emesso una norma, approvata dal parlamento, che impedisce tuttora alle persone transgender di modificare la voce “sesso” nel registro civile e nell’atto di nascita. Il 7 luglio 2021 è entrata in vigore la contestata legge che vieta nelle scuole la diffusione di informazioni e pubblicazioni sull’omosessualità o sul cambio di sesso, spingendo all’immediata reazione delle istituzioni europee, tra cui la Commissione sui diritti dell’infanzia; si è rischiato di arrivare a procedure d’infrazione, con i rispettivi risvolti economici, politici e giuridici, contro l’Ungheria, già pesantemente bombardata dalla crisi economica e pandemica, che ha messo in seria sofferenza le infrastrutture produttive e numerose fasce della popolazione. Il rispetto dello stato di diritto, sostiene l’UE, risulta fondamentale per esserne paese membro, nonché per beneficiare di finanziamenti diretti.
Varsavia e Budapest si sono fermamente opposte alle conclusioni della Commissione UE per i diritti dell’infanzia, relative alla promozione di politiche atte a limitare il bullismo, le violenze e le discriminazioni nei confronti della comunità LGBT+. Hanno apposto un vero e proprio veto; a tal proposito, il ministro ungherese della Giustizia, Judit Varga che ha sottolineato che “Continueremo a resistere alla pressione della lobby Lgbt. Poiché alcuni Stati hanno insistito strenuamente affinché gli attivisti Lgbt fossero ammessi nelle nostre scuole, io e il collega polacco abbiamo dovuto usare il veto”. Costei ha aggiunto su un post pubblicato su Facebook che mirava a giustificare il suddetto veto che “La lotta alla violenza sui minori o alla prostituzione minorile, o anche la garanzia dei diritti dei bambini con bisogni educativi speciali o disabilità o ancora, il rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione, sono per loro meno importanti che garantire diritti extra alla lobby Lgbt”. Infine ha concluso: “Il governo ungherese resta impegnato a garantire un elevato livello di protezione dei diritti dei bambini. Non lasceremo mai che attivisti Lgbt entrino nelle nostre scuole”.
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