In occasione della Giornata Nazionale del Braille, evento giunto alla sua Decima edizione e celebrato il 21 febbraio di ogni anno ai sensi della Legge 126 del 2007, il nostro Giornale rende omaggio al grande “genio” di Louis Braille, raccontando brevemente la sua vita e che cos’è il suo straordinario sistema di letto-scrittura, che ha consentito ai ciechi di uscire dalla “preistoria”, ovvero di leggere e scrivere, partecipando attivamente alla vita culturale della società.
Louis Braille nacque a Coupvray, un villaggio non lontano da Parigi, il 4 gennaio 1809. Il padre era un modesto artigiano che viveva fabbricando finimenti per cavalli. A tre anni, giocando nel laboratorio paterno, il bambino si ferì gravemente ad un occhio con una lesina.
Le premurose cure dei genitori non valsero a frenare l’infezione che rapidamente si estese anche all’altro occhio, in un anno, portandolo alla cecità assoluta.
A dieci anni, egli fu accolto nell’Istituto Reale per i Giovani Ciechi (Institut National des Jeunes Aveugles – INJA) di Parigi, fondato da Valentin Haüy nel 1784. Il giovane Braille manifestò molto presto le sue straordinarie qualità, suscitando lo stupore dei suoi insegnanti, soprattutto per la capacità di concentrazione.
In quel tempo, il piccolo mondo dell’Istituto fu emotivamente conquistato dall’invenzione di un ex ufficiale di artiglieria, Charles Barbier de La Serre, il quale aveva ideato un sistema di scrittura, che egli chiamò scrittura notturna, costituita da punti in rilievo che, secondo lui, avrebbe consentito ai militari di leggere al buio, per non essere individuati dai nemici.
Barbier pensò di far testare la sua invenzione agli allievi dell’Istituto per i ciechi. Il sistema risultava piuttosto complesso e poco pratico, perché fondato su due colonne parallele di sei puntini ciascuna. Tuttavia, l’esperimento fu accolto con entusiastico interesse dai giovani allievi, alcuni dei quali (e tra essi Louis Braille)iniziarono una corrispondenza con Barbier, utilizzando il suo laborioso sistema.
Rispetto ai numerosi tentativi precedenti per far leggere i ciechi, Barbier aveva introdotto una novità particolarmente significativa per chi avrebbe dovuto leggere con le dita: aveva sostituito i punti in rilievo al tratto continuo (ovviamente in rilievo), utilizzato da Valentin Haüy per stampare i primi volumi per i suoi alunni.
La speranza di poter trovare un modo per scrivere adatto ai ciechi ed una innata attitudine per la ricerca metodica condussero Braille, ancora adolescente, ad intuire il valore che avrebbe potuto assumere, per lui e per i suoi compagni, la disponibilità di un sistema di scrittura semplice e razionale.
Non sappiamo se altri, fra quei ragazzi, abbiano condiviso il desiderio di trovare la soluzione ad un problema da loro ritenuto prioritario, o se Louis Braille si sia dedicato alla ricerca solitaria, sostenuto unicamente dall’entusiasmo e dalla fede, tipici della sua età.
Egli riconobbe il suo debito verso Barbier de La Serre, tuttavia, esclusivamente a lui va il merito di essere riuscito ad ottenere risultati definitivi, dopo alcuni anni di studio tenace e sistematico sulla posizione convenzionale di punti impressi su cartoncino.
Eravamo nell’anno 1825. Braille aveva appena sedici anni ed il suo sistema poteva dirsi virtualmente compiuto.
Nel 1829, egli pubblicò: “Procedimento per scrivere le parole, la musica e il canto corale per mezzo di punti in rilievo ad uso dei ciechi ed ideato per loro”.
Si tratta dell’opera con la quale egli faceva conoscere la scrittura da lui inventata e che è quella ancora oggi utilizzata dai ciechi di tutto il mondo.
Durante tutta la vita egli dovette lottare per far accettare il suo sistema. Il Direttore dell’Istituto, Dufau, ordinò che i ciechi non si avvalessero del sistema ideato da Braille, da lui ritenuto una criptografia utilizzata unicamente dai suoi alunni per non fargli comprendere ciò che in segreto si sarebbero comunicato fra di loro.
Soltanto nel 1850 fu stampata la prima opera in braille, fuori della Francia (nemo propheta in patria).
Il Congresso universale sul braille, svoltosi a Parigi nel 1878, nella riunione del 27 settembre, respinse tutte le perplessità e le incertezze su di esso e si pronunciò per l’adozione del Braille convenzionale con i sei punti originari.
Quindi, seguirono nel 1917 l’adozione del Braille originale pure negli Stati Uniti d’America, nel 1929 il riconoscimento internazionale della Notazione musicale Braille ed, infine, nel 1949, su decisione dell’Unesco, l’uniformità dei vari alfabeti Braille, cosicché esso venne adottato nelle lingue arabe, in quelle orientali e nei dialetti africani, diventando, così, il metodo universale di lettura e di scrittura dei ciechi di tutto il mondo.
Louis Braille morì nel 1852. Nel 1887, a seguito di una sottoscrizione nazionale, gli fu eretto un monumento a Coupvray. La sua casa natale accoglie ora il museo “Louis Braille”, affidato alle cure dell’Unione Mondiale dei Ciechi (WBU).
Nel 1952, in occasione del primo centenario della morte, la Francia, finalmente rendendo onore al suo genio, ne accolse le spoglie mortali nel Pantheon di Parigi, tra i “grandi” della nazione.
A parere di chi scrive, ricordare oggi l’attualità e l’importanza storica e culturale della figura di Louis Braille e della sua eccezionale “invenzione” può certamente servire per sedimentare nella coscienza e nella sensibilità soprattutto dei giovani una “nuova e costruttiva “cultura” della disabilità e dell’inclusione.
La giornata che celebra il linguaggio braille è un momento di riflessione e di ricordo per un grande uomo che ha lasciato un importante strumento che va preservato e coltivato. Un punteruolo e una tavoletta o una stampante Braille, infatti, possono regalare momenti di istruzione, conoscenza e di cultura per chi non vede e quindi non ha la possibilità di scrivere e leggere in “nero”, ma nel contempo fornire anche un piacevole e simpatico mezzo di comunicazione tra vedenti e non vedenti.
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