L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, oltre a conseguenze di stampo economico e finanziario, ha interessato molto da vicino, specie nelle ultime fasi di stabilizzazione degli accorsi sottoscritti e striscianti per un biennio, il dibattito pubblico e la vita dei cittadini anglosassoni, scozzesi ed irlandesi settentrionali. Ha esasperato movimenti indipendentisti nordici del paese, più attinenti alla casa madre europea, vittime di un eco storico legato ad eccidi e violenze non ancora del tutto sopite, anche se svoltesi tristemente nell’età moderna. Tali posizioni e dissapori spesso si concretizzano in insegnamenti e vanno ad interessare una didattica che, specie nelle discipline umanistiche, risente di un revisionismo o, meglio dire, secolarizzazione ideologica. La Brexita, ad esempio, ha provocato fratture etniche immani a livello interno e nei rapporti con il continente europeo, che i cittadini del Regno Unito, in relativa maggioranza, non sentono più proprio. Come può una sana didattica della storia provvedere a sanare le ferite aperte – e riaperte – dalle scelte politiche odiene?
Prima dell’avvento dei saggi e noti Annales di Fevbre e Bloch, con un richiamo alle attività di Fabio Pittore in età classica, la didattica, dedicata ai pochi che potevano permettersi istitutori o insegnanti privati, s’accasciava seguendo le onde dei dissensi politici e sociali dell’epoca. Lo stesso, successivamente alla Brexit, si sta verificando nel Regno Unito: moltiplicate le ore di lingua inglese a scapito di quelle straniere, cambio di passo nella didattica della storia e pichi laboratori internazionali che guardano all’Europa. Questo il quadro sollevato da un’indagine del Financial Times, che denuncia anche una scarsissima – se non inesistente – valorizzazione delle minoranze. La didattica della storia, nell’epoca delle History Wars (guerra tra narrazioni), regredisce qualitativamente in alcune realtà: statalismo, nazionalismo, eroi, nemici e la retorica del ‘noi e loro’ di fatto allontanano uno studente del Regno Unito da una percezione globale delle vicende storiche e politiche del suo tempo.
I quadri e le indicazioni provveduti dal Ministero dell’Istruzione italiano suggeriscono ai docenti ed alle maggiori case editrici, di attenersi, nella somministrazione della didattica, ai noti quadri formativi, che riguardano patrimoni, storia, territori, risorse e persone. Secondo tale logica, sono aumentati i progetti di valorizzazione dei territori e delle minoranze, quali francoprovenzale padina, slovene e le varie di lingua germanica (tra cui alemanni ed altri) che popolano i comuni più remoti e non solo delle Alpi. Il perfezionamento inoltre delle Classi di Concorso dedicate all’insegnamento delle maggiori discipline in lingua slovena, tedesca o ladina col fine di preservare l’utilizzo di tali idiomi facendo riferimento alla Legge sulla Tutela delle Minoranze approvata nel 1999, a sua volta appoggiata dall’UE con programmi di stabilizzazione ed associazione.
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