Il 29 settembre di ventisei anni fa ci lasciava Bruno Munari, uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del XX secolo che – come spiega l’enciclopedia Treccani nella voce a lui dedicata – ha mantenuto inalterata la sua estrosa creatività a sostegno dell’indagine costruttiva della forma attraverso sperimentazioni visive e tattili e, insieme, la sua grande capacità di comunicarla attraverso parole, oggetti, giocattoli.
Artista poliedrico, pittore, scultore, designer grafico e industriale, artista nel senso più ampio, Bruno Munari è stato una delle figure più indipendenti e influenti nella storia del design italiano e internazionale. Quello che a noi interessa, in particolare, è l’aspetto pedagogico della sua ricca e multiforme attività artistica. Inventore e autore di giochi didattici, laboratori e libri per l’infanzia che avevano al centro proprio l’idea di un apprendimento basato sulla partecipazione attiva del bambino, Munari ha applicato il principio dell’imparare giocando ai laboratori nei quali insegnava ai bambini a “giocare all’arte visiva”. Il primo del genere fu quello realizzato nel 1977 alla Pinacoteca di Brera, a Milano, in cui i bambini scoprivano le qualità e le proprietà dei materiali, le caratteristiche degli strumenti e le diverse tecniche artistiche sperimentandole in prima persona, attraverso attività ludiche.
Il sito Munlab.it ricorda che il primo laboratorio si chiamò “Giocare con l’arte” e fu un evento storico per la città: Bruno Munari ricevette l’incarico di progettare uno spazio per i bambini all’interno di uno dei più prestigiosi musei nazionali italiani. La sperimentazione ebbe la durata di tre mesi, dal 15 marzo al 15 giugno 1977 e fu la risposta concreta alla “provocatoria” richiesta dell’allora Soprintendente di Brera, che voleva “azioni” in grado di trasformare il museo da “torre eburnea e luogo sacro di pochi eletti” in un “organismo vivo”, capace di essere “strumento di comunicazione di massa” e “servizio sociale”. Il laboratorio fu un evento che fece discutere e si diffuse nei vent’anni successivi in realtà diverse sia in Italia sia all’estero. Tra gli anni Settanta e Novanta furono aperti diversi laboratori. In una prima fase vennero sperimentati laboratori di comunicazione visiva; in seguito, negli anni Ottanta, il metodo fu applicato all’interno di laboratori plurisensoriali come quelli della ceramica, design, stampa, tessile, suono, legno, plastica, libri, tattile, mattoncini Lego, fotocopia. Nel mondo Bruno Munari ha “giocato con l’arte” a Gerusalemme, in Venezuela, a San Sebastian in Spagna, a Parigi, a Rio de Janeiro.
Nei laboratori, Munari non chiedeva ai bambini di riprodurre un’opera, cosa che crea inibizione e frustrazione. Permetteva loro di sperimentare la tecnica, come per esempio giocare con segni e forme sentendosi liberi di provare. Si usciva così da una dimensione performativa per abbracciare quella della sperimentazione, il focus non era più sul prodotto ma sul processo.
Munari ha scritto libri per bambini, testi di didattica per l’infanzia e manuali scolastici. In tutta la sua attività emergono interesse e massima attenzione per questa fascia d’età, così strategica per una buona, futura, formazione dell’uomo e della donna: Centomila visitatori al giorno – soleva dire Munari – non sono un successo per un museo. Tutte queste persone non rappresentano altro che un numero. Non tutti i visitatori di un museo sanno vedere le opere. Non vedono perché non conoscono i problemi, le regole di tutto ciò che dà corpo a un opera d’arte visiva. E siccome è quasi impossibile modificare il pensiero di un adulto, noi ci dovremmo occupare dei bambini. Se noi ci preoccupiamo di cambiare la società in meglio, dobbiamo occuparci di questi individui che sono già qui con noi.