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Bruno Pizzul è morto, insegnò a scuola e ottenne il ruolo quando vinse il concorso Rai: “Vacillai, non fu una scelta facile”

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Oggi, 5 marzo, è morto Bruno Pizzul, icona del giornalismo sportivo italiano, telecronista calcistico di lunga data. Tra qualche giorno avrebbe compiuto 87 anni. Come riporta Ansa, Pizzul era nato a Cormons (Gorizia), piccolo centro; era ricoverato da un paio di settimane nell’ospedale di Gorizia.

Una voce indimenticabile

Nonostante l’età continuava a gestire una rubrica di calcio sul Il Messaggero Veneto e con varie altre testate anche televisive e radiofoniche. Calciatore da giovane in varie squadre, laureato in Giurisprudenza, era poi entrato in Rai nel 1969 e aveva lasciato il Friuli dove era tornato a vivere, a Cormons. Era esperto non soltanto di calcio ma anche di altri sport. 

La voce di Pizzul ha accompagnato i tifosi in vari momenti storici e indimenticabili della storia del calcio italiana: basta pensare alle notti magiche del Mondiale 1990 e non solo: per 16 anni ha raccontato le partite dell’Italia, dal 1986 al 2002, ultima delle quali Italia-Slovenia del 21 agosto 2002.

La carriera da docente

Pizzul, come riporta Il Corriere della Sera, oltre ad essere padre di una docente di matematica e scienze, è stato a sua volta insegnante. Prima di partecipare al concorso in Rai e venire assunto, ha insegnato lettere nelle scuole medie.

Ma da dove è nata la sua proverbiale cura per la parola? Ecco le sue parole in un’intervista del 2023 a La Repubblica: “Credo dal liceo classico, e da quel vezzo giovanile di mostrare il proprio bagaglio culturale. Io ho sempre pensato che fosse importante cercare un lessico vario all’interno di situazioni un po’ ripetitive come quelle di una partita di calcio. Non me ne vanto, mi viene così. E’ un istinto. Il mio linguaggio sono io”.

E, sulla sua carriera da docente: “Ho fatto il professore di lettere per tre anni, alle medie: insegnavo storia, geografia, italiano e latino. E ancora mi capita di incontrare ex allievi che sono diventati signori pelati o corpulente signore. Quando li incrocio in qualche borgata, immancabilmente si avvicinano e mi domandano: ‘Professore, si ricorda di me?’ Allora mi faccio dire i cognomi, e la memoria rivive d’incanto. Insegnare era un mestiere stupendo, ti dava quel senso di utilità legato alla crescita delle persone più che al loro apprendimento. Invece il giornalismo sportivo è la sublimazione dell’effimero. Quando appresi di avere superato il concorso da telecronista, mi arrivò anche la nomina a professore di ruolo in storia e filosofia al liceo di Monfalcone. Devo dire che vacillai parecchio, non fu una scelta facile”.

“È andata bene, non senza qualche rimpianto dovuto forse all’età. Era una grande soddisfazione, da insegnante, verificare i progressi dei ragazzi non solo sul piano del rendimento, ma del comportamento”, ha concluso.

Redazione

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