Le cronache di questi giorni riportano sempre più spesso episodi di bullismo, con conseguenze inimmaginabili sulla salute fisica e psichica degli adolescenti vittime di tali angherie.
La scuola ha certamente il suo da fare per sensibilizzare gli allievi e per cercare di prevenire o quanto meno arginare tale problema.
Ma certamente, la scuola, da sola, non basta.
In questo quadro, non può che essere accolta con favore la recentissima sentenza (è del 24 marzo) con cui la Cassazione (Cass. pen., sez V, n. 12501/2023) ha definitivamente confermato la condanna di un bullo che aveva preso di mira un suo compagno di classe affetto da autismo.
Si è trattato di un episodio davvero raccapricciante, in quanto il bullo non si è limitato a prendere in giro e a denigrare il compagno autistico.
Le compagne di classe della vittima hanno raccontato che il bullo, oltre ad essere solito lanciare contro il ragazzo oggetti vari e chiedergli soldi, è giunto persino a spegnere una sigaretta sulla mano del compagno, come i peggiori torturatori nazisti.
I giudici hanno accertato che le angherie hanno provocato nella vittima «un perdurante stato d’ansia e di paura per la propria incolumità fisica.
Il povero ragazzo, affetto da autismo, con ritardo dello sviluppo psichico e del linguaggio, riconosciuto portatore di handicap, aveva parlato ai genitori, allo psicologo, alla preside e agli insegnanti, del proprio malessere psico-fisico, che oltre tutto era di tale intensità da costringerlo a mutare le proprie abitudini di vita.
Del resto, gli insegnanti si erano accorti di una sensibile riduzione della frequenza scolastica, notando che lo studente, all’improvviso, appariva sempre più inquieto e meno entusiasta della scuola, evidentemente a causa del disagio di subire tali angherie.
La difesa dell’aguzzino ha cercato di sminuire la portata delle dichiarazioni della vittima, sostenendo che non dovevano essere considerate attendibili, vista “la patologia della vittima”.
Ma la Corte ha invece creduto al ragazzo, sia perché le sue dichiarazioni hanno trovato riscontro in quelle di alcune sue compagne con le quali il giovane si era confidato, sia perché alcune ragazze hanno confermato di aver effettivamente visto sulle sue mani i segni delle bruciature “notando la presenza di una bruciatura fresca, con la carne viva”.
Inoltre, la Corte ha sottolineato come il disturbo autistico di per sé comporta l’incapacità di inventare menzogne.
Il bullo si faceva spalleggiare da un altro par suo.
Erano dunque in due, contro un ragazzo che non era in grado di difendersi.
Un simile comportamento (da vigliacchi, perché è facile prendersela con i più deboli) non può e non deve trovare cittadinanza nelle scuole, che sono i luoghi deputati per natura ad educare al rispetto e alla solidarietà con le persone svantaggiate.
E’ da salutare dunque con favore la sentenza che nel riconoscere il persecutore colpevole di lesioni personali volontarie, lo ha anche condannato al risarcimento danni nei confronti della vittima.
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