L’imperversare delle nuove tecnologie tra i giovani è un dato di fatto. Anche tra i giovanissimi: è tutto dire che già a metà della scuola primaria, quando gli alunni hanno in media otto anni, sono tantissimi gli allievi in possesso di un telefono cellulare personale. E l’oggetto “del desiderio” viene portato anche a scuola. Tanto da convincere più di qualche istituto a prendere le dovute contromisure.
Dall’altra parte del mondo, in Australia, ad occuparsi del modo di porre un freno all’utilizzo dello smartphone, almeno in classe, sono stati i politici del New South Wales, il più popoloso degli stati australiani con capitale Sydney: in questo Stato, il telefono cellulare è stato, di fatto, bandito in tutte le scuole elementari pubbliche, nel tentativo di combattere il bullismo e le distrazioni in classe.
La restrizione, scrive l’Ansa, è stata annunciata dal premier statale Gladys Berejiklia e fa seguito a un’analisi indipendente che mostra una sempre maggiore diffusione nel bullismo on line, nella condivisione di immagini esplicite e nella mancanza di concentrazione in classe, dovuta ai dispositivi mobili.
A questa conclusione, almeno, è giunto lo psicologo infantile Michael Carr-Gregg della Macquarie University di Sydney, che ha considerato oltre 14 mila risposte a un sondaggio di genitori, insegnanti, presidi e accademici.
“La tecnologia ci deve essere per aiutare a imparare, non per essere usata per ferire altri o farli sentire a disagio”, ha detto la premier.
“Crediamo – aggiunto – che questo provvedimento mandi un forte messaggio alla comunità, che non vogliamo che alcun alunno sia soggetto a bullismo o a immagini non necessarie che possano trovare nel suo cellulare”.
Il ministro dell’Educazione Rob Stokes ha detto che l’analisi di esperti non arriva al punto di raccomandare il divieto di tutti i dispostivi smart nelle aule scolastiche, ma fornisce una chiara motivazione per bandire i telefonini nelle elementari: “Vogliamo rimuovere una distrazione che nell’opinione degli esperti causa nei più giovani ansia, stress e anche depressione, oltre a introdurre rischi di comportamenti predatori”.
Anche le scuole medie pubbliche avranno l’opzione di adottare il bando, ma il ministro Stokes ha detto che molte scuole hanno già adottato restrizioni. La presidente del sindacato insegnanti del New South Wales, Murie Mulheron sostiene tuttavia che un divieto imposto nelle elementari non avrà effetto se non viene affrontata la più ampia questione del rapporto fra i giovanissimi e la tecnologia.
“E’ necessario che anche i genitori assumano le proprie responsabilità verso i figli. Lo sanno dov’è il loro telefonino durante la notte? Lo sanno se il figlio o la figlia mandano text alle 3 di notte, o quali siti web visitano?”, ha detto.
Mulheron sottolinea inoltre che vi è “una disparità enorme” nell’accesso alla tecnologia fra gli alunni di diversi ambienti socioeconomici, un aspetto a cui è necessario prestare attenzione. “Alcuni alunni vanno a casa e l’unico congegno digitale è il cellulare della mamma, mentre altri loro compagni hanno desktop, laptop, l’ultimo smartphone”.
Secondo Matt Bower della Macquarie University di Sydney, esperto in tecnologia digitale nelle scuole, una messa al bando totale non è la giusta soluzione.
“Non terrebbe conto dei benefici nei contenuti educativi e informativi della rete, che possono contare più degli svantaggi. Molti studenti sanno usare il cellulare in maniera sensata e responsabile, impedire loro di usarlo può ostacolare la loro istruzione”.
In Italia, l’attuale ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, è il suo predecessore, Valeria Fedeli, si sono più volte espressi per l’uso intelligente del telefonino, anche a scuola.
“Non sono d’accordo”, ha detto Bussetti, sulla decisione della Francia di vietare i cellulari nelle classi, perché anche gli smartphone, alla pari dei “nuovi strumenti informatici, se utilizzati per una didattica innovativa, possono essere accolti nelle aule”.
Anche l’ex ministra Valeria Fedeli, confermata senatrice con il Pd, si era detta favorevole: lo smartphone, aveva dichiarato, “diventerà un elemento che noi forniamo alle scuole sapendo che ogni scuola rimane nella sua autonomia e ogni insegnante nella sua libertà didattica di insegnamento”.
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