Un dato evidente negli ultimi tempi è il moltiplicarsi del fenomeno del bullismo che nelle scuole italiane è attestato su una percentuale del 46% alla primaria e al 38% nella secondaria e riguarda sia i maschi che le femmine.
Senza soffermarsi in dettaglio sugli ultimi dati e sulle manifestazioni più frequentemente messe in atto , occorre una riflessione critica e attenta sulla complicata relazione tra sistema formativo e società civile( a causa dei mutamenti profondi) presupposto di fondo,a mio parere, da cui partire i per interpretare il fenomeno a dir poco allarmante.
I nuovi stili di vita e di lavoro,gli atteggiamenti di costume,ma anche la pressione sociale , un disimpegno inconsapevole o una richiesta sproporzionata di aspettativa sui figli, o anche una parziale condivisione o una latente contraddizione tra il progetto educativo della famiglia e quello della scuola,potrebbero essere considerate concause per questa emergenza che affonda le radici in un vero e proprio naufragio che non può lasciare insensibili nessuno. Si connota una realtà che non riesce a prendersi cura dei bisogni di crescita degli allievi come studenti e come persone, a leggere le richieste/risposte affettive, lo stato motivazionale,la comunicazione con gli altri,le difficoltà e questo proprio per una distanza tra attese e valori.
Non si può far finta di niente e richiamare la solita caduta di valori in un’epoca di forti disvalori, dove la fragilità genitoriale si presenta con modelli di famiglia allargati o diversificati che hanno preso piede rispetto a quella tradizionale, si perdono di vista i reali bisogni e i desideri di entrambi con evidenti stati di frustrazione. L’imperversare di uno spirito consumistico, frenetico, edonistico e narcisistico che fa da corollario a “quell’usa e getta” delle cose come delle persone lascia poco tempo alla riflessione e alla socializzazione.
Alla scuola si delega il difficile compito di fornire degli orizzonti di senso, delle direzioni di comportamento con delle regole e dei paletti che la famiglia non è in grado di dare.
Occorre lavorare ad un ripensamento di atteggiamenti consolidati e cronicizzati e riportare ordine nei rispettivi ruoli. D’altro canto la scuola nel riappropriarsi della propria funzione non può lasciarsi condizionare dagli indicatori o dalle percentuali europee che misurano solo i livelli di competenza raggiunti, ma segnalare i prodromi di fenomeno che hanno il loro esordio fin dai primi anni di scuola materna leggendo magari tra le righe di un condotta aggressiva o provocatoria.
L’infanzia allora diventa un’ottima cartina di tornasole per leggere disturbi della relazione del bambino con i genitori e con gli insegnanti, anche attraverso una semplice osservazione della gestualità o del linguaggi, indicatori del clima di affetto, serenità, confidenza o attaccamento reciproci..
A sostegno di quanto detto sulla funzione della comunicazione verbale e non nel binomio insegnamento-apprendimento molte ricerche hanno dimostrato che modelli adulti che utilizzano stili comunicativi basati sull’accettazione piuttosto che sul conflitto o l’aggressività o peggio sull’autorità , non sono assolutamente controproducenti anzi incentivano lo sviluppo di abilità sociali per vivere bene con gli altri.
Soluzioni semplicistiche di fronte ad una realtà sempre più complessa contraddistinta da smarrimento della spontaneità relazionale e dalla responsabilità del proprio ruolo impongono un ripensamento ad una nuova didattica al passo coi tempi che sappia superare la frattura culturale, emotiva , cognitiva, tra allievi e docenti.
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