di Alessandro Pavanati
Il tema del bullismo a scuola merita una riflessione che vada oltre i fatti stessi. Quanto successo a Lucca ha destato sì indignazione, ma ha fatto forse riflettere meno del necessario, nel senso che si è subito posto l’accento sul fallimento di un sistema educativo come scandalo inaccettabile.
Piuttosto che scandalizzarci, dovremmo invece capire da dove nasce questo stato di cose. Rivelatore è stato l’oramai famoso servizio delle Iene, nel quale da un lato si vede un’insegnante incapace di reagire, nell’altro un preside molto preoccupato della reputazione scolastica. Ma la sorpresa è stata l’intervista al ragazzo protagonista principale dell’atto: è stato l’unico ad avere inquadrato il problema e l’errore. È bastata una semplice domanda sul perché lo avesse fatto e la risposta che ne emerge è, fondamentalmente, una mancanza di riscontro educativo e di punti fermi. Dietro all’atto, paradossalmente, c’era una domanda di risposta che nessuno ha colto e che forse ci fa pensare come non tanto o solo la famiglia, ma anche e soprattutto la scuola abbia abdicato ad un dovere educativo.
Per la verità, è sbagliato scaricare tutta la colpa sulla scuola, perché tutto ha origine in quella che Umberto Galimberti definisce una società non adatta a fare figli. E la società parte dalla famiglia, che ne è il nucleo base. Passiamo poco tempo coi figli e il tempo non può essere solo di qualità, ma deve essere anche di quantità. I nostri figli non riescono ad elaborare emozioni perché manca sempre più un rapporto che li sostenga. In questo modo, crescono sempre più confusi e incapaci di discernimento razionale. La scuola, per contro, è però diventata sempre più nozionistica e ha perso la mission di affascinare, di far conoscere partendo da un’attrattiva.
In questa situazione bisognerebbe far propria la massima dei pubblicitari: dal caos nascono le soluzioni. Bisogna avere il coraggio della rivoluzione. Ma intendendo la rivoluzione nel suo senso etimologico più profondo, come ritorno ad un ordine naturale delle cose. Non è un coraggio peregrino e incosciente, ma che parte dalla considerazione del presente. Un presente in cui l’innovazione ha un effetto dirompente sui modelli sociali, quindi anche di business e di lavoro. A partire da questo, se è vero che il lavoro va ripensato, va ripensato a partire dai nostri figli. Ne va di loro e del futuro. Occorre fare tutto ciò che serve per mettere al primo posto loro, mettendo da parte la paura del cambiamento e del futuro, con la tranquillità che il tempo e la storia ci daranno ragione.
Il tema investe primariamente la famiglia, ma pensare che l’emergenza educativa non dipenda anche dalla crisi della scuola come luogo per educare i bambini e i ragazzi sarebbe non tenere conto di un pezzo importante, fondamentale di realtà. Secondo recenti dati Ocse, nei Paesi in cui l’intervento statale a favore della reale parità scolastica è consistente si attutiscono anche differenze sociali e gap educativi di base fra gli alunni. Al contrario, in un sistema fortemente statocentrico come quello italiano la scuola paritaria si configura sempre di più come un diplomificio d’elite.
Per questo, l’adozione del sistema del costo standard per studente darebbe un forte contributo alla lotta a situazioni di emarginazione e degrado educativo nelle scuole italiane. D’altra parte, fu il premio Nobel per l’Economia Milton Fredman a teorizzare proprio questo col sistema dei voucher.
La battaglia è, in buona sostanza, per una vera buona scuola pubblica, paritaria o statale che sia, ma che abbia a cuore la qualità dell’educare e la crescita di bambini e studenti. E se la scuola sarà in grado di assolvere al suo compito, anche il tema del bullismo verrà affrontato a partire dalla sua radice, con la complicità di tutti, genitori in primis.
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