“Meglio morire che andare a scuola”: così ha detto tra le lacrime un ragazzino di 11 anni ai genitori, che vivono nell’hinterland trevigiano, dopo l’ultimo episodio di violenza che ha subito da parte di un del terzetto che addirittura lo ha perfino invogliato a gettarsi nelle acque del fiume: “Ora gettati nel Piave”.
Una lunga serie di angherie subite sia in aula che nello scuolabus da parte di tre adolescenti e uno stillicidio continuo fatto di pestaggi, soprusi, sempre con l’immancabile cellulare in mano per registrare le bravate.
Fino a quando il ragazzino non ha narrato tutto ai genitori che così raccontano gli eventi: “Era da tempo che mio figlio si era distaccato da queste amicizie. Aveva visto che i compagni si lasciavano andare spesso a comportamenti che riteneva sbagliati, come ad esempio suonare i campanelli e poi fuggire. Non era una compagnia adatta”. Ma i bulli hanno fatto scattare la ritorsione, compresi gli insulti per essere il figlio di una coppia di cui uno dei due è immigrato, tant’è che la mamma, esasperata, ha dovuto ritirare il figlio da scuola.
Fatto quest’ultimo che sta facendo puntare l’attenzione sulla dirigenza scolastica, il cui comportamento viene ritenuto deludente nei confronti dei colpevoli.
Afferma infatti il papà del ragazzo: “Ai miei tempi avrebbero convocato i ragazzi (che frequentano la seconda e la terza media nello stesso istituto della vittima) e gli avrebbero parlato, anzi gli avrebbero fatto una vera e propria ramanzina con i genitori presenti. E invece tutto quello che ci hanno saputo dire è il percorso che intendono seguire. Una strada che ritengo impregnata di burocrazia”.
Sembra che non sia stata data nemmeno la possibilità al giovane bullizzato di rientrare in aula per continuare a seguire le lezioni, come spiega sempre il genitore: “Ci è stato risposto che non era possibile dato che non avrebbero potuto garantire la presenza di una persona a presidio della sua incolumità”.
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