Categorie: Politica scolastica

Buone le intenzioni ma sugli insegnanti ancora non ci siamo

Con tutte le riserve del caso, seguendo l’evoluzione prima il decreto, mai nato, poi convertito in un Ddl varato dal Consiglio dei Ministri, il cui testo, non ancora arrivato in Parlamento ma a cui non sono state apportate sostanziali modifiche, esprimiamo alcune valutazioni sul testo del Ddl del Governo.

Decisamente apprezzabile l’attuazione e il rafforzamento dell’Autonomia delle istituzioni scolastiche, evidentemente ben radicate nelle intenzioni governative, tanto da essere esplicitate nel Titolo, nell’Articolo 1 che ne fa “Oggetto e principi” e nel successivo Capo II che ha come oggetto la sua valorizzazione.

Autonomia dunque a 360°, cui seguono tutta una serie di intenzioni condivisibili al di là della loro più o meno praticabile realizzazione: un organico funzionale che si lega ad un Piano dell’offerta formativa triennale proposto dalle Scuole e che dovrebbe contenerne l’identità culturale, che è sottoposto però al filtro implacabile Usr- Miur che in pochi mesi dovrà valutare circa 8400 POF e dare poi il via libera alle Scuole.

Perché Autonomia si, ma con juicio! L’apparato statale non può rinunciare così facilmente al ruolo di controllore.

E poi apprezzabile ancora, il potenziamento dell’offerta formativa con il richiamo agli insegnamenti opzionali. Questa possibilità, peraltro prevista fin dal 1999 con il Dpr 275, meglio conosciuto come “Regolamento dell’Autonomia”, all’art. 8 contiene, infatti, la vera novità di tutta la riforma che riguardava la rottura della rigidità dei programmi ministeriali in favore un’autonomia didattica e cioè la definizione dei curricoli da parte delle Scuole. In questo articolo, tuttora vigente, viene definita una quota nazionale obbligatoria di discipline stabilita dal Miur ed una quota anch’essa obbligatoria la cui scelta però è liberamente demandata alle Scuole. Questo è il senso della invocata “flessibilità del curricolo”, che poi è il cuore dell’autonomia didattica che è a sua volta il centro dell’Autonomia che le scuole dovrebbero predisporre, a costo zero sempre nell’ambito dell’organico assegnato. In questi 15 anni questa possibilità non è stata afferrata dalle Scuole senza che ci si chiedesse il perché.

Tuttavia riproporla di nuovo con quasi gli stessi vincoli non ci sembra lungimirante. Importante, perché rappresenta l’abbattimento di un vecchio tabù ideologico, è pure rendere obbligatori i percorsi di alternanza Scuola – lavoro anche in quei luoghi intoccabili che sono i Licei. Finalmente un superamento del nostro radicato paradigma gentiliano che apre finalmente un varco alla valenza formativa delle esperienze di lavoro e pratiche nel panorama teorico dell’istruzione.

Coerentemente con quanto avevamo chiesto nella fase di consultazione della Buona Scuola, concordiamo con l’opportuna valorizzazione, anche economica, del ruolo dei Dirigenti scolastici, dal momento che se sono responsabili di (quasi) tutto è giusto che abbiano nelle loro mani le leve di Governo per assumere al meglio tali responsabilità. Ma a questo ruolo potenziato, sia per essere accettato, sia per funzionare efficacemente manca ancora un aspetto fondamentale.

Per realizzare finalmente un’autonomia, oggi incompiuta, e quindi quell’autonomia didattica, che oggi la Riforma degli Ordinamenti consente già fino ad una flessibilizzazione del 40% del curricolo e che è stata pensata per aderire alle esigenze formative più diversificate, è necessario che al dirigente scolastico, che ne ha la responsabilità progettuale e di risultato, vengano forniti gli strumenti idonei. Primo tra questi è la presenza di un team di docenti “esperti”, che lo affianchi con ruoli definiti, con competenze formate e certificate sia sul piano disciplinare che organizzativo. La necessità di recuperare la flessibilità didattica, finora ingessata delle scuole e la progettazione di un curricolo di Istituto con materie opzionali e alternative è possibile solo se vi sono competenze “alte” nei Dipartimenti, cioè docenti che costituiscano appunto quella leadership professionale, con funzioni di traino per l’intero corpo docente, che dovrebbe affiancare il Ds per fare tutto ciò ed impedirgli di essere inutilmente “un uomo solo al comando”. Così si attuerebbe, finalmente quanto era stato previsto all’art. 21, c. 16 della Legge 59/’97, istitutiva dell’Autonomia, là dove si prevede “l’individuazione di nuove figure professionali del personale docente… in connessione con l’attribuzione della qualifica dirigenziale ai capi d’istituto”.

Ribadiamo quindi come la proposta storica dell’Apef di una carriera professionale dei docenti, articolata su tre livelli e incardinata su una nuova organizzazione del lavoro degli insegnanti in base alle nuove e più complesse esigenze dell’ autonomia, sia congrua anche con la prospettiva di una dirigenza scolastica che abbia le richieste caratteristiche di leadership educativa.

Non a caso il presidente della Commissione europea per l’istruzione, On.le Silvia Costa, ha ricordato che l’Italia deve lavorare di più proprio sulla carriera degli insegnanti. Purtroppo di tutto questo non v’è traccia nel Ddl Rimane sullo sfondo solo una “valorizzazione” del merito degli insegnanti imperniata su una logica premiante, una regalia di fine anno di tipo impiegatizio, certamente non professionale, incardinata su criteri non chiari.

Auspichiamo quindi che nella discussione parlamentare si inserisca la via di nuovo Stato giuridico degli insegnanti che, definendo i nuovi profili professionali, possa realizzare un utile intreccio tra valorizzazione del merito degli insegnanti con le funzioni necessarie alle Scuole.

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