Ci arriva una segnalazione da parte di una nostra lettrice che chiede: “perchè noi docenti e ATA, che ormai stiamo lavorando anche il pomeriggio, non abbiamo diritto ai buoni pasto, come gli altri statali?”
Domanda legittima. Sul tema abbiamo scritto altre volte in passato, ma non ci sono purtroppo aggiornamenti.
Eppure, come fa notare anche la lettrice, docenti e ATA ormai sono impegnati anche i pomeriggi o nel caso della settimana corta o più in generale per i vari progetti extracurricolari che ormai quasi tutte le scuole propongono. Per cui, in media 1-2 volte a settimana il personale deve tornare a scuola nel primo pomeriggio, spesso con un intervallo di solo 1 ora dall’ultima campanella.
Infatti, al comma 7 dell’art.1 della legge 107/2015, è esplicitamente previsto che per il raggiungimento degli obiettivi formativi ed educativi degli studenti è prevista anche l’apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e di studenti per classe o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del tempo scolastico o rimodulazione del monte orario rispetto a quanto indicato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89.
Quindi le scuole rimangono aperte anche il pomeriggio per lavorare su progetti del piano dell’offerta formativa o su progetti finanziati con fondi europei. Di conseguenza, per garantire lo svolgimento dei progetti extracurricolari, gli insegnanti sono chiamati a restare fuori per il pranzo e provvedere a proprie spese alla consumazione del panino o simili.
Gli altri lavoratori del comparto statale, ovvero quegli uffici che garantiscono l’apertura dei loro uffici anche nel pomeriggio (per le strutture comunali, ad esempio, generalmente si usa fare il rientro 2 giorni a settimana), percepiscono effettivamente i buoni pasto. Mentre i lavoratori della scuola no. Soltanto gli insegnanti di scuola primaria e infanzia che devono vigilare in mensa scolastica possono accedere a questa gratis. Ma gli altri lavoratori impegnati in questi rientri non hanno ancora la possibilità di questo beneficio, che sarebbe a questo punto un diritto.
Lo stesso Miur ha previsto per i dipendenti degli uffici scolastici regionali e provinciali, l’utilizzo di questi voucher di buoni pasto, mentre per i docenti e ATA, anche se impegnati in attività aggiuntive di pomeriggio, non vale lo stesso trattamento.
Sul nuovo contratto scuola, in realtà, si era detto inizialmente che anche la questione buoni pasto sarebbe dovuta confluire nella nuova contrattazione. Sappiamo poi come sono andate le cose e che i margini economici per elargire gli stessi aumenti dovuti dopo 9 anni di blocco sono stati davvero minimi.
Per questo sarebbe auspicabile, non appena inizieranno i primi tavoli di confronto per il nuovo contratto, inserire nell’agenda la questione buoni pasto per il personale della scuola, che nel frattempo ha cambiato orari e struttura degli impegni che lo portano durante la settimana a restare a scuola e a dover pensare a proprie spese al pranzo.
Sul tema abbiamo un parere per i lavoratori della PA da parte dell’ARAN, che sarebbe valido anche nell’ipotesi di un’estensione dei buoni pasto a docenti e ATA.
L’Agenzia Aran delle Pubbliche Amministrazioni, con parere Ral-1910-Orientamenti Applicativi del 9 febbraio 2017, ha indicato su quale importo deve essere calcolata la quota di 1/3 da porre a carico del dipendente fruitore tra:
– valore facciale del buono (ad es. € 8);
– costo effettivo del buono acquisito dall’ente , mediante adesione a convenzione Consip (ad es. € 6,90, corrispondente ad € 8, meno lo sconto praticato).
Aran spiega inoltre che “è sufficiente che l’ente provveda all’erogazione, per ogni ‘ticket’, di una somma, esclusivamente a proprio carico, pari ai 2/3 del costo unitario di un servizio mensa, risultante dal costo dei generi alimentari e del personale (l’importo può essere individuato dall’ente anche attraverso una semplice indagine di mercato o avvalendosi della collaborazione della Camera di Commercio o delle associazioni dei ristoratori o con verifiche presso mense aziendali dell’area territoriale interessata)”.
“In tal modo”, continua l’agenzia Aran, “la disciplina contrattuale, prevedendo che il valore nominale del buono pasto deve corrispondere ai due terzi del costo unitario di un pasto medio, ha inteso fornire un criterio per quantificare la spesa massima che può essere posta a carico dell’ente nel caso di attivazione del servizio dei buoni pasto”.
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