Su Tempi.it la proposta firmata da Guido Tabellini e Andrea Ichino, per rivoluzionare e rendere più efficiente l’istruzione italiana contro “l’esercito di parrucconi che si oppone da quasi mezzo secolo all’unica riforma che sarebbe veramente necessaria a sollevare dalla polvere e rimettere finalmente in marcia un paese incartapecorito nella continuazione dello stato corporativo dell’istruzione statale unica, fascista sebbene con altri nomi, costantemente al ribasso, epperò “uguale per tutti”.
Per i dettagli della proposta Ichino-Tabellini, scrive sempre Tempi, rinviamo a una magnifica intervista del mensile forlivese Una città (www.unacittà.it) che è probabilmente il domicilio dell’unica sinistra italiana veramente nuova e dove Giorgio Calderoni e Gianni Saporetti hanno sviscerato in lungo e in largo l’autenticità della liberazione contenuta nella proposta dei due economisti.
Le riforme non è vero che languiscono per mancanza di risorse, “i dati Ocse (Education at a Glance) esaminati dal Rapporto del Forum “Idee per la crescita” (vedi e-books del Corriere della Sera) mostrano una realtà diversa.
Nel 1999-2000 la spesa annua per studente era maggiore in Italia rispetto alla media dei paesi Ocse in tutti e tre i livelli di istruzione: pre-scolare, primaria e secondaria. Ad esempio, nel caso della secondaria, lo Stato italiano spendeva 7.218 dollari per studente mentre la media Ocse era 5.957 Tuttavia, nel 2008-2009 la spesa per studente secondario italiano era comunque di 9.112 dollari, di poco inferiore alla media Ocse di 9.312.
Lo Stato italiano non spende poco per i suoi studenti, spende male! Le riforme sono bloccate dalla incapacità dell’amministrazione statale di gestire la scuola”, per cui la proposta è di liberare la scuola.
E come? Ecco la proposta: integrare “l’esperienza delle Charter schools in America e delle Grant Maintained schools nel Regno Unito (entrambi ascensori sociali nei loro paesi, quando si collocano, e spesso accade, in quartieri disagiati). Come nelle Charter schools, presidi, genitori, docenti o enti esterni potranno formare comitati che si candidano a gestire una scuola. Non sarà però l’autorità statale a contrattare il programma, che sarà invece sottoposto all’approvazione di elettori definiti in rapporto al bacino di utenza della scuola. In caso di approvazione, a maggioranza degli aventi diritto, il comitato gestirà la scuola in totale autonomia per quel che riguarda il personale (in particolare assunzioni, retribuzioni ed eventuali licenziamenti degli insegnanti), le attrezzature e il disegno dell’offerta formativa. L’autonomia avrà però un controllo.
Gli studenti delle nuove scuole autogestite dovranno superare gli stessi test ed esami che ogni altro studente dovrà affrontare. Ma cambierà il formato della Maturità che sarà strutturata per “singole materie”, invece che per “pacchetti di materie” in modo da porre fine all’anomalia del sistema italiano che non consente agli studenti di modulare gradualmente il loro percorso formativo in funzione degli studi universitari da intraprendere successivamente.
Le scuole autogestite non dovranno sottrarre risorse a quelle tradizionali: riceveranno inizialmente un fondo pari al loro costo storico annuo globale. Successivamente, saranno finanziate in proporzione agli studenti che riusciranno ad attrarre. Non potranno chiedere rette di iscrizione, ma potranno raccogliere finanziamenti privati, subordinati a un prelievo a favore di un fondo di solidarietà per le scuole che non possano accedere alle stesse risorse. Poiché a regime saranno gli studenti a finanziare le scuole con le loro scelte, lo Stato dovrà investire nel ruolo fondamentale di valutazione dei diversi istituti e di diffusione capillare delle informazioni che dovranno consentire alle famiglie, anche quelle meno agiate, di scegliere a ragion veduta. Per ridurre il rischio di “scuole ghetto”, da evitare soprattutto ai livelli più bassi di istruzione, gli istituti autogestiti saranno limitati nella libertà di stabilire i criteri di ammissione. La burocrazia ministeriale, troppo rigida e lenta, ha dimostrato di non saper gestire la scuola in un modo soddisfacente per tutti. È giunto il momento di consentire a chi, democraticamente, vuole provare una strada diversa, di poterlo fare”.
“È necessario anche”, sostiene Ichino, “allontanare dalla scuola quegli insegnanti che non sanno fare bene il loro mestiere e sappiamo tutti che purtroppo non mancano. Già soltanto questa misura, osteggiata dai sindacati che sostengono che i problemi sono altri, libererebbe risorse che potrebbero essere usate meglio. Le buone scuole le fanno innanzitutto i buoni insegnanti. Quindi è su questi che bisogna puntare, togliendo dalle scuole italiane quelli che costituiscono solo un freno, soprattutto a danno degli studenti più poveri, dato che i ricchi una soluzione per ovviare ad un insegnante incapace la trovano sempre.
I sindacati devono spiegare perché il diritto al posto di lavoro di un insegnante incapace debba prevalere sul diritto di uno studente, soprattutto se povero, a ricevere un’istruzione adeguata. Nell’esperienza delle Grant Maintained schools inglesi, è stato soprattutto il rinnovamento della classe docente il maggior fattore di successo.
Queste scuole libere di gestire le risorse umane, sono state in grado di attrarre insegnanti migliori retribuendoli in modo adeguato. E i risultati sono stati immediati.”
L’altra idea di Ichino è quella di sperimentare la proposta, ma la ministra Carrozza “ ha declinato l’invito. Iniziare la sperimentazione della nostra proposta richiederebbe solo un po’ di coraggio con rischi contenuti. Basterebbe verificare se in qualche scuola ci fosse interesse per tentare la sperimentazione, e consentire le elezioni che dovrebbero sancire l’opting out. Non servirebbero tante scuole, ne basterebbe qualcuna e se questi esperimenti isolati avessero successo allora altre scuole seguirebbero. Ma chi preferirà continuare con il vecchio sistema potrà farlo senza perdita di risorse. Temo però che per provare dovremo aspettare un nuovo ministro… con un orizzonte più lungo”.