Fra gli acronimi che si usano a scuola, BYOD è uno dei più recenti.
Ma cosa significa con precisione e, soprattutto, a quale contesto didattico fa riferimento?
Ne parliamo con Antonio Fini, dirigente scolastico dal settembre 2012, attualmente in servizio come tutor organizzatore di tirocinio all’Università di Firenze ma anche esperto che ha collaborato con il MIUR alla stesura del Piano Nazionale per la Scuola Digitale e componente del gruppo di lavoro del MIUR sull’utilizzo dei dispositivi personali a scuola.
Intanto partiamo dall’acronimo BYOD: che significa esattamente?
BYOD è una sigla entrata ormai nell’uso comune anche in Italia, anche se è espressa in inglese: Bring Your Own Device, ovvero “porta con te il tuo dispositivo” e, ovviamente, utilizzalo. In realtà, oggi, come sappiamo, la maggior parte di noi ha già con sé uno o più dispositivi digitali, come smartphone o tablet.
Secondo una recente ricerca effettuata da Save the Children l’eta media per il primo smartphone risulta di 11,5 anni, con un 20% di bambini che lo possiede già prima di questa età. La medesima ricerca riferisce che nella fascia di età 11-17 la diffusione degli smartphone è del 97%.
La diffusione di questi strumenti dovrebbe quindi stimolare la scuola?
Certo, l’idea di fondo è di valorizzare la disponibilità così estesa di tali device anche a scuola, superando il punto di vista più comune, che vede in questi apparecchi soprattutto una fonte di distrazione, evidenziandone al contrario le caratteristiche positive per l’apprendimento, che pure esistono ed evitando l’approccio “proibizionista” che, la storia insegna, non sembra mai essere davvero efficace. Va anche precisato che BYOD si riferisce a vari dispositivi, non solo smartphone, ma anche tablet e PC portatili, che, anche se in misura minore, sono molto diffusi tra i ragazzi e che possono offrire possibilità ancora più interessanti.
L’idea è senz’altro interessante ma non c’è il rischio che sia solo uno dei tanti escamotage per sopperire alla mancanza di finanziamenti adeguati per dotare le scuole delle attrezzature necessarie?
Alla base dell’idea del BYOD vi è anche la necessità di ottimizzare le risorse e gli investimenti. Come sappiamo, i dispositivi informativi sono soggetti a rapida obsolescenza, inoltre la disposizione scolastica di tali apparecchiature è stata per anni legata all’idea del “laboratorio”, ovvero di uno spazio altro, rispetto alla normale aula.
Con il BYOD, invece, la scuola può concentrare gli investimenti sull’infrastruttura (rete, connettività, disponibilità di dispositivi per sopperire a situazioni particolari, ambienti di apprendimento, ecc.), ottimizzando così le risorse, sempre scarse, anche se negli ultimi anni va considerata la disponibilità dei fondi europei PON-FESR estesa a tutto il territorio nazionale.
E poi ci sono sicuramente problemi legati alla organizzazione (connessione, possibilità per gli studenti di ricaricare i propri strumenti, e così via)
Certo, questi aspetti, così come quelli legati alla didattica, sono stati oggetto del lavoro della commissione costituita dalla ministra Fedeli. Il documento completo non è ancora stato pubblicato, pertanto non è possibile al momento scendere nei particolari (il cosiddetto “decalogo” fornisce soltanto una sintesi) ma l’intento è stato proprio quello di fornire alle scuole indicazioni anche operative sul miglior modo per introdurre il BYOD affinché possa essere un efficace possibilità per la didattica.
Vogliamo dire qualcosa anche a proposito della didattica?
A proposito delle metodologie, sono stati identificati alcuni casi d’uso, scenari che mostrano come, in effetti, l’uso efficace dei dispositivi non può prescindere da una attenta progettazione ma soprattutto da una certa innovazione metodologica. Se a qualcuno non piace il termine “innovazione”, si può parlare più semplicemente di didattica efficace, indipendentemente dall’uso o meno di tecnologie.
Ci sono esempi di buone pratiche che varrebbe la pena far conoscere?
Nel documento si parla anche di questo. Sono disponibili esempi sia dal punto di vista della didattica che dell’organizzazione (ad esempio i regolamenti di istituto). Alcune risorse sono state raccolte in un Padlet accessibile pubblicamente
C’è anche un problema di formazione e aggiornamento dei docenti?Come lo si affronta?
Naturalmente, come accennato in precedenza, l’introduzione di tecnologie in generale, e a maggior ragione l’uso dei dispositivi personali implica un tipo di didattica nel quale tale uso abbia senso. La regia è sempre del docente, anche se, come sempre, si raccomanda di lavorare collegialmente. La formazione, come sappiamo, è uno dei punti di maggiore attenzione, negli ultimi anni, a partire dalla L.107/2015 che ne sancisce la natura obbligatoria, permanente e strutturale, al PNSD, del quale costituisce uno dei tre ambiti. Anche grazie ai fondi europei, in questi anni è stata fatta molta formazione specifica, ma, in sostanza, non è mai abbastanza! Molto importante è, in questo specifico ambito, l’autoformazione e la formazione tra pari, all’interno dei consigli di classe e dei collegi dei docenti. La messa in comune di esperienze, la “contaminazione” tra colleghi, magari inframmezzata da occasioni formative formali (in presenza e online) è probabilmente la strategia più efficace per una diffusione capillare di esperienze di successo.
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