Sul Corriere della sera del 21 ottobre è comparso un articolo firma Andrea Ichino, che dovrebbe invitare gli esperti di scuola e di didattica a riflettere lungamente, su quale sia la migliore idea per fare in modo che la scuola italiana torni a competere.
Nell’articolo del professore Ichino si esprimono le strategie applicabili sulla scuola, per fare tornare l’Italia un Paese altamente competitivo, prendendo a pretesto alcuni dati allarmanti, diffusi al Forum del libro di Bari dal Governatore Visco, riguardanti le competenze acquisite dai giovani o anche meno giovani italiani, durante il loro percorso formativo.
Queste idee di Ichino le conosciamo bene, e sappiamo essere bene radicate nella sua idea politica e riformatrice della scuola. Bisogna infatti ricordare che questa idea è racchiusa in una vera e propria proposta di cambiamento del nostro sistema scolastico, scritta, in una pubblicazione dello stesso Corriere della sera, oltre che da Andrea Ichino da un rappresentativo comitato accademico, di indirizzo del forum “Idee per la crescita”, nato per iniziativa congiunta dell’Università Bocconi di Milano e dell’Einaudi Institute for Economics and Finance (Eief).
L’idea di base di questo comitato è quella di proporre la sostituzione dell’attuale sistema scolastico accentrato, che riflette le preferenze dei governi in gioco e non soddisfa le esigenze della domanda, con uno che lasci alle scuole maggior autonomia e, quindi, responsabilità, incentivandole così a garantire un’offerta formativa in linea con le aspettative di famiglie e studenti, per attrarne il maggior numero.
Ichino oltre a sostenere che la scuola italiana post 68 si è preoccupata, sotto la scia ispiratrice di Don Lorenzo Milani, di essere la scuola degli ultimi, cioè delle fasce sociali più svantaggiate, perdendo di vista l’impegno verso le eccellenze e quindi trascurando la qualità della didattica rivolta agli studenti più meritevoli, sostiene anche che la nostra scuola, unica al mondo, spreca molte energie vive, per svolgere programmi di lingue classiche, ormai morte, trapassate e quindi inutili, a tutto svantaggio dei programmi di materie scientifiche e tecnologiche.
Il professore Ichino ritiene del tutto inutile e improduttivo lo studio di declinazioni latine e greche o studiare l’aoristo passivo, sostenendo che, se in Italia vogliamo retribuzioni elevate, abbiamo bisogno di investire in tecnologia ad alto valore aggiunto nell’interesse di tutti, a ogni livello della scala sociale.
La domanda che noi ci poniamo, per confutare le tesi dell’econometrista bocconiano, è la seguente: “ma siamo proprio sicuri che lo studio ben fatto del latino o del greco, non apra, come la matematica, la fisica, la filosofia, la mente dello studente, conferendogli pensiero critico e metodo logico di studio?”.
Secondo noi, non sono le materie umanistiche che dovrebbero uscire o dovrebbero essere ridotte, nei nostri quadri orari scolastici, ma piuttosto altre discipline che, non esistendo in altri sistemi scolastici, ed alcune di queste minano anche profondamente la laicità della scuola pubblica ed hanno un costo di oltre un miliardo di euro l’anno e non sono nemmeno gestite completamente dallo Stato italiano.
Un altro punto del pensiero di Ichino che oramai, settimanalmente dal Corriere va inquietantemente ripetendo, è quello di accettare il principio che la scuola è pubblica anche quando chi la gestisce non è lo Stato in prima persona, ma chi localmente ha le informazioni migliori per farlo, sottostando alle regole e alla valutazione che la collettività ritiene necessarie.
Un’altra domanda che ci viene spontanea è la seguente: “chi sono le persone così competenti a livello territoriale che dovrebbero, secondo Ichino, gestire le istituzioni scolastiche?”
“Ma siamo proprio sicuri che il forte decentramento dei poteri autonomistici, rappresenti un’opportunità per offrire un servizio migliore, oppure potrebbe rappresentare, così come è successo per gli enti locali con la modifica del Titolo V della Costituzione, l’occasione per il moltiplicarsi di fenomeni di corruzione?”
A nostro parere prima di parlare bisogna pensare lungamente, conoscere bene la realtà dei nostri territori locali, e soltanto dopo si può entrare nel merito di questioni teoricamente condivisibili, ma effettivamente discutibili.
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