Un buon preside, da solo, lo sappiamo bene, non fa una buona scuola. Ma non esiste una buona scuola senza un buon preside.
Come, ed anche questo lo sappiamo bene, non c’è buona scuola senza buoni docenti, capaci di coinvolgere, appassionare, cioè dei veri maestri.
Al di lá di tutte le difficoltà che conosciamo, in questo inizio d’anno scolastico, soprattutto di gestione degli organici, con tante scuole in reggenza, di carenza di personale e di spazi adeguati, di problemi di sicurezza e di trasporto degli studenti, la vera buona scuola la fanno le persone. Prima delle strutture, della logistica, delle tecnologie.
Oggi, più di ieri, sono sempre e solo le persone che fanno la differenza.
Come preside di due scuole, un liceo di 2.100 studenti ed un istituto agrario di 600, c’è da temere che il ruolo del preside venga sempre più assorbito da questioni burocratiche, amministrative. Con il rischio reale di non privilegiare, di non considerare la leadership educativa e culturale, per non parlare della desertificazione delle immancabili relazioni con gli studenti ed i genitori.
Anzi, oggi il ruolo del preside è ancora più educativo e culturale rispetto a pochi anni addietro. Perché punto di riferimento, perché termine di mediazione, perché interfaccia con tutta una comunità non solo scolastica, ma territoriale. Un po’ come il sindaco in un comune.
Proprio per questo motivo, è importante che si ridisegni la modalità di assegnazione di un preside ad una scuola, non più appannaggio della sola direzione regionale, ma con un filtro qualitativo che coinvolga tutta la comunità scolastica. Attraverso una sorta di “chiamata”, quindi di valutazione delle concrete competenze oggi richieste.
Questa proposta qualitativa dice una cosa importante: che la scuola deve essere ripensata nei termini della “scuola della comunità locale”, non solamente o non più come mera emanazione periferica della burocrazia centrale e regionale.
Il che significa, per i presidi, ma anche per i docenti ed il personale ata, che l’autonomia reale delle scuole, anche sul piano dei ruoli di responsabilità, è la chiave di volta per non avere più quelle complicazioni che tutti stiamo denunciando in questo inizio d’anno scolastico.
Ma questa autonomia reale sarà possibile solo con la vera e prima riforma del mondo della scuola, cioè la sottrazione al ministero della gestione degli organici, comprese le assunzioni, la formazione, la valutazione.
Senza questa svolta avremo sempre dei problemi, comprese le incongruenze che conosciamo in alcune regioni del sud. Cioè si ripeterà ogni anno quello che è successo quest’anno.
Cosa dovrebbe spettare allo Stato, dunque al ministero? L’indicazione delle finalità, degli obiettivi, degli standard. Con forme di controllo e di ispezione oggi di fatto assenti. Mentre dovrebbe toccare alle regioni il coordinamento gestionale, come già nella provincia autonoma di Trento, e alla autonomia delle scuole la gestione mirata, concreta, verificabile. A quando una riforma degli organi collegiali che dia ruolo e valore a tutti gli attori, perché le scuole siano davvero emanazione delle autonomie locali? O crediamo davvero che l’unica soluzione alle tante contraddizioni sia il controllo centralisto di tutto l’apparato? Una pia illusione.
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