“Bisogna porsi un problema di tecnica politica: sburocratizzare, velocizzare, rifare le leggi sugli appalti, ricreare una classe tecnico-amministrativa capace, con scuole idonee come in Francia. Ripartire dalle elementari”. A dirlo, in un’intervista al Messaggero, è il professor Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, nel commentare il crollo del ponte Morandi di Genova.
“L’antipolitica – ha detto Cacciari – ha denunciato chi governava in precedenza, eppure non è riuscita ad affrontare e comprendere quel vuoto su cui ha vinto. Adesso sono loro a cercare di sfangarsela, ma mi pare che abbiano idee di riassetto tecnico-amministrativo della baracca molto confuse, come dimostrato a Genova”.
L’accademico ha quindi sostenuto che “la crisi della politica italiana viene da molto lontano e com’era prevedibile è già diventata una crisi addirittura tecnico-amministrativa”.
E ancora: “Questo non è più uno Stato che funzioni. Manca un governo effettivo del Paese in grado di fare riforme necessarie che ci trasciniamo dalla fine degli anni Ottanta e questa impotenza, questa inefficienza politica ha generato una caduta di tutti gli apparati”.
“Lo Stato non ha più l’ordinaria manutenzione e questo vale in tutti i settori. Non si sa più chi sia responsabile di cosa… La macchina burocratico-amministrativa è impazzita”.
Secondo Cacciari, questo degrado dipende “dalla mancanza di direzione politica. Rimettere in piedi questo Paese è infinitamente più complicato che fare un governo e selezionare una classe politica”.
A lanciare l’allarme sulle scuole non sicure, dopo l’Anp nei giorni scorsi, è stato anche l’Anief: con una dura nota, il sindacato autonomo, ha detto che “il crollo del ponte Morandi dovrebbe rappresentare un monito per tutte le istituzioni preposte alla messa a norma di tutte le strutture pubbliche, a partire dai 42 mila plessi scolastici dove da settembre torneranno quasi otto milioni di alunni, oltre 850 mila insegnanti, 250 mila Ata e 6 mila dirigenti scolastici”.
Ciò perchè, ha continuato l’associazione, “la metà dei nostri edifici scolastici ha quasi 50 anni”; inoltre “un plesso scolastico su cinque è chiuso per sempre o in attesa di essere messo a norma” e “dei 6,2 miliardi di euro di fondi già stanziati e destinati all’edilizia scolastica, dal 2015 al 2018, sono stati utilizzati appena 604 milioni, quindi meno di un decimo”.
Quanto agli interventi necessari da attuare sulle scuole attive, “i dati ufficiali ci dicono che il piano di emergenza e il documento di valutazione del rischio sono stati riscontrati con certezza da meno di tre scuole su quattro (rispettivamente 73% e 72%); il certificato di collaudo statico da una su due (49%); quello di agibilità-abitabilità e di omologazione alla centrale termica da una su tre (39%); la certificazione della prevenzione incendi in corsi di validità è presente appena in un’istituzione scolastica su cinque (21%); il nulla osta provvisorio, sempre di prevenzioni incendi, in una scuola su sei (16%). Del certificato di collaudo dell’impianto di spegnimento sono fornite appena il 9% delle scuole”.
Durante gli ultimi anni “la ‘stretta’ sulle misure preventive e il logoramento delle strutture, hanno prodotto la chiusura o la necessità di ristrutturare sempre più scuole: lo dimostra il fatto che ad oggi, rispetto a 42.292 edifici scolastici ve ne sono ben 8.450 dove non si svolgono le lezioni, poiché – conclude l’Anief- risultano in ristrutturazione, dismessi oppure in fase di ricostruzione”.
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