Le necessità di porre in una dimensione internazionale il proprio percorso di studi deriva dal tentativo di ampliare non solo le possibilità lavorative, ma presenta il fine dell’incontro con culture differenti – limitrofe o distanti che siano – nell’ottica di un mondo sempre più globale e globalizzato, in cui la conoscenza intesa come matrice analitica trasversale costituisce un collante esistenziale per il progresso definitivo delle arti, delle scienze e delle competenze e conoscenze a queste connesse. Gli studenti, primi osservatori dei fenomeni che interessano il mondo nel proprio tempo, utilizzano numerosi codici per arrivare alle informazioni di cui necessitano: gli idiomi costituiscono una via di comunicazione che non solo migliorano le prestazioni intellettuali, ma permettono di internazionalizzare le proprie competenze anche in ottica accademica e lavorativa.
In Europa l’educazione in inglese – soppiantato dal tedesco e francese in particolari aree del continente – costituisce un caposaldo caratterizzante dei percorsi didattici sin dalla più tenera età; la possibilità di non praticarlo adeguatamente – per via dell’assenza o numero ridotto di spazi idiomatici e culturali adeguati – è il primo limite all’apprendimento. Sta accadendo non solo nel Belpaese, ove le prestazioni degli studenti nelle lingue straniere sono al di sotto della media europea in termini di lettura, scrittura e comprensione del testo, ma anche in Spagna, dove la fondazione di scuole bilingue non abbia portato ad una risoluzione fattiva della problematica.
Secondo un sondaggio, le scuole bilingue istituite a livello centralizzato per condurre l’attuale generazione di giovani spagnoli a migliorare la propria padronanza della lingua inglese hanno lasciato molti alunni con una comprensione più scarsa delle materie accademiche. Oltre 20 anni fa, alcune scuole statali della regione di Madrid sono diventate bilingui, con materie insegnate in spagnolo o inglese in un progetto ideato per migliorare la loro comprensione della lingua inglese, con cui alcuni spagnoli hanno difficoltà. Quasi due terzi degli studenti delle scuole secondarie della capitale spagnola studiano oggi in questo programma (nella fattispecie il 63 %). Tuttavia, per gli alunni la cui prima lingua è lo spagnolo, imparare la fisica o la chimica in una lingua straniera è assai complesso, rileva il rapporto.
Da un sondaggio condotto su 1.174 insegnanti da Acción Educativa, un’organizzazione locale che da 25 anni si interroga sulle misure didattiche promosse dal Ministero e relativa applicazione, è emerso che il 97,9% ritiene che il sistema bilingue abbia un effetto negativo sulle capacità di apprendimento degli alunni. Otto insegnanti su dieci intervistati hanno affermato che il livello di apprendimento era più basso nelle classi ove si apprende esclusivamente in inglese. L’apprendimento forzato di tale lingua inoltre sta provocando l’effetto inverso: l’attenzione cronica ai tecnicismi propri delle discipline scientifiche sta limitando l’attenzione nei confronti della lingua e del relativo esercizio oratorio e pratico.
Gli alunni delle classi in cui veniva insegnato l’inglese hanno preso parte meno alle attività in laboratorio e sono stati meno reattivi: il 69% degli intervistati ha affermato che il livello di inglese degli alunni era relativamente migliorato, ma ciò ha avuto un prezzo, perché non avevano di conseguenza sviluppato competenze nelle discipline d’indirizzo. “I miei tre figli hanno frequentato una scuola bilingue. Gli [insegnanti] riducono il contenuto delle materie in inglese. I [bambini] hanno più difficoltà a capire l’inglese”, ha dichiarato un’insegnante all’associazione. In Italia i limiti dell’apprendimento delle lingue straniere sono rappresentati dalla scarsa integrazione delle strategie di educazione e pratica dell’esercizio delle stesse: nessuna disciplina – salvo dei casi sporadici di materie d’indirizzo negli Istituti Tecnici – si svolge in lingua straniera e ciò rende complessa la pratica.
Molta concentrazione sulla grammatica e meno sulle frasi idiomatiche, lingua veicolare e, perché no, sull’umorismo e sull’espressioni di uso comune degli idiomi appresi; scarsa possibilità di dialogo immersivo e continuativo con un madrelingua ed interesse nella produzione più scritta rispetto a quella orale ed all’ascolto attivo. L’Italia è al 26esimo posto sui 35 paesi europei presi in esame da TrueNumbers – tra cui Serbia, Turchia e Norvegia – per numero e livello di parlanti complessivi in inglese. Secondo i dati del 2021 il 43,5% degli studenti diplomati ha almeno un livello B2 (cioè un livello di conoscenza medio-alto). Solo il 19,7%, invece, ha una conoscenza dell’inglese di livello C1 o C2 (ovvero, elevata).
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