Anche quest’anno la Regione Lazio ha preso in esame le delibere sul calendario delle diverse istituzioni scolastiche per approvarle o respingerle. Ma a questa pratica l’ANP non ci sta. Ne parliamo con un dirigente scolastico che ha fatto la “storia” della associazione dei presidi, Antonino Petrolino.
Cosa c’è che non va, Petrolino ?
E’ una vecchia storia che si ripete e rispetto alla quale abbiamo dovuto più volte prendere posizione: ma, a quanto pare, senza successo, visto che la Regione torna a cadere in tentazione, arrogandosi poteri che non le appartengono, in quanto in contrasto con le norme vigenti. Siamo quindi costretti a ripeterci a nostra volta, partendo dal richiamo appunto alle norme: che, nella materia, sono sostanzialmente tre e riguardano i poteri del Ministero, quelli della Regione e quelli delle scuole autonome.
Il Ministero cosa può e deve fare in fatto di calendario scolastico?
Ai sensi dell’art. 74 comma 5 del TU sulle norme sull’istruzione “(…) determina, con propria ordinanza, il termine delle attività didattiche e delle lezioni, le scadenze per le valutazioni periodiche ed il calendario delle festività e degli esami”.
E la Regione?
Secondo quanto prevede l’art. 138 comma 1 lettera d del decreto legislativo 112/98 – “(…) sono delegate alle regioni (…) la determinazione del calendario scolastico (…)”.
Ma i limiti di questo potere sono a loro volta indicati dall’art. 74 comma 7 bis del già citato Testo unico: “La determinazione delle date di inizio e di conclusione delle lezioni ed il calendario delle festività (…) devono essere tali da consentire, oltre allo svolgimento di almeno 200 giorni di effettive lezioni, la destinazione aggiuntiva di un congruo numero di giorni per lo svolgimento, anche antimeridiano, degli interventi di cui all’art. 193 – bis, comma 1.”
E quindi?
Intanto precisiamo: gli interventi cui si fa riferimento sono quelli di integrazione della didattica, cui le scuole sono tenute nei confronti degli studenti. In ogni caso, poi, nella norma non c’è nessun riferimento ad un eventuale potere di vigilanza, ed ancor meno di approvazione, sulle decisioni di competenza delle scuole, che sono regolati da una norma successiva a quelle citate e quindi prevalente, a parità di rango, in caso di contrasto (che peraltro non sussiste).
E allora le scuole autonome cosa possono fare?
Lo dice chiaramente l’art. 5 comma 2 del Regolamento sulla autonomia: “Gli adattamenti del calendario scolastico sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in relazione alle esigenze derivanti dal Piano dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni in materia di determinazione del calendario scolastico esercitate dalle Regioni a norma dell’articolo 138, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.”
Cosa ne dobbiamo concludere?
E’ semplice: la legge dice che “gli adattamenti del calendario scolastico sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche”, senza alcun altro intervento successivo in merito, che infatti la norma non prevede. Quanto al “rispetto delle funzioni esercitate dalle Regioni”, la sua portata è evidente dal rinvio alle norme che ho citato; ovviamente la delibera delle scuole non può incidere sulla durata complessiva delle attività didattiche, che può variare da Regione a Regione, per un totale comunque superiore ai 200 giorni. Perché, se tale rispetto dovesse intendersi esteso anche alle “date di inizio e conclusione delle lezioni”, semplicemente verrebbe meno il “potere di adattamento” che la stessa norma attribuisce alle scuole.
Quindi le scuole sono libere di adattare il calendario come ritengono?
Certamente, lo dice la legge. Inoltro, a meno che la delibera della scuola non intacchi la durata complessiva delle attività didattiche, la cui misura è rimessa alle decisioni delle singole Regioni, essa non è soggetta ad approvazione, né – tanto meno – a rifiuto di approvazione.
Insomma lei ritiene che la Regione non abbia titolo ad intervenire…
Esattamente, l’intervento della Regione Lazio presuppone la titolarità di un “potere di vigilanza sulla legittimità” che in nessun caso appartiene alla Regione, ma – se mai – all’Ufficio Scolastico Regionale. Le scuole non hanno alcun vincolo gerarchico rispetto all’Ente Regione: pretendere di istituirlo per via amministrativa, in dispregio della legge, aggiunge all’errore principale un ulteriore vizio, quello ben noto di “difetto di competenza”, che travolge tutti gli atti amministrativi che ne sono affetti.
Ciò significa che la sua Associazione potrebbe impugnare le decisioni della Regione?
Non è nostro intendimento aprire un conflitto giurisdizionale con la Regione, con cui da sempre intendiamo invece collaborare in ogni modo possibile. Ma della collaborazione fa parte anche la chiarezza e la distinzione dei ruoli: anche a costo di dovere, di tanto in tanto, assumere l’onere di un richiamo alle fonti. Nell’interesse di tutti.
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