Su questo tema si sono interrogati a Trieste i pediatri e i ginecologi dell’Irccs Burlo Garofolo di Trieste, che di recente hanno pubblicato uno studio sulla rivista Acta Pediatrica, che ha sede presso lo svedese Karolinska Institutet, che seppure limitato all’andamento delle nascite in un solo ospedale e al solo periodo considerato mostra come, secondo le analisi dell’ospedale materno infantile, durante i mesi del 2020 in cui gli italiani sono stati costretti a rimanere chiusi in casa per effetto delle disposizioni normative anti- Covid i concepimenti sono diminuiti del 20% con un conseguente calo delle nascite nove mesi dopo. Quando a marzo fu decretato il lockdown, in molti si sono interrogati sulle conseguenze possibili della forzatura domestica, pensando addirittura che questo avrebbe rianimato le statistiche sulla natalità.
La ricerca dell’ospedale triestino segnala che dalle 308 dell’anno precedente si è passati a 247 nello stesso periodo. Inoltre, altro dato che fa riflettere, secondo gli autori del lavoro, che hanno confrontato i dati con quelli raccolti durante la catastrofe di Chernobyl, il calo di concepimenti è stato molto maggiore, considerando che in quel periodo erano diminuite del 5-7%, a causa della paura legata alle possibili conseguenze del fall-out sulle gravidanze.
Gli stessi medici autori dello studio dell’ospedale Burlo, Giampaolo Maso, responsabile dell’Ostetricia, e Francesco Risso, responsabile della Neonatologia e gli specialisti in formazione Andrea Trombetta e Melania Canton si sono anche interrogati sulle possibili cause che si celano dietro questi dati e ne hanno individuate alcune, tra cui come spiegano ci sono la crisi economica, la preoccupazione per il futuro occupazionale, gli aspetti psicologici e sociali correlati alla pandemia e al lockdown.
Anche l’Istat conferma che il totale di nuovi nati del 2020 al di sotto della soglia di 400 mila nascite. La popolazione decresce più fortemente nelle regioni dell’Italia Centrale. Così, per esempio, in Abruzzo l’arretramento è del 5,5 per cento, nelle Marche si riduce a un passo del 5,3 per cento, in Umbria del 4 per cento, e nel Lazio del 3,3 per cento. Inoltre, i flussi migratori sono troppo deboli per garantire un equilibrio demografico.
Egidio Barbi, professore dell’Università di Trieste, direttore della Clinica Pediatrica del Burlo e coautore dello studio appena citato, sottolinea come sia necessario invertire questo trend di denatalità attraverso interventi mirati e politiche di supporto dedicate che rendano il concepimento un progetto di vita realizzabile. Gli asili nido accessibili per tutti, la facilitazione al lavoro dei genitori con figli, le politiche di riduzione dei costi indiretti e un’ulteriore incremento dell’offerta educativa sono alcune delle soluzioni suggerite.
Se i dati della ricerca di Trieste e quelli dell’Istat confermano il decremento delle nascite, facendo per esempio notare con immagini forti che è come se fosse sparita una città come Latina, ci si domanda come tutto questo potrà in tempi rapidi avere effetto sulla popolazione scolastica. Al tema sono in molti ad essere interessati, e proprio in questi giorni si è tenuto ad Asti un convegno dal titolo Poche culle in Italia. Cosa ostacola veramente lo sviluppo demografico? partendo anche dal calo della migrazione (-17.4%), che come ormai assodato negli ultimi anni ha contribuito a mantenere giovane l’Italia, ma anche un calo dei matrimoni passati dai 170 mila del 2019 agli 85 mila dei primi mesi dell’anno successivo.
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