L’ “inverno demografico” non è più una ipotesi, ma una realtà, molto seria, con la quale bisogna fare i conti.
Scrive Massimo Livi Bacci, uno dei padri della demografia italiana, in un suo recentissimo intervento pubblicato nel portale Neodemos: “Sappiamo, con buoni fondamenti, che la società italiana, a nord come a sud sarà una società di seniores. Molti si cullano nell’aspettativa che una ripresa della natalità o un sufficiente apporto dell’immigrazione possa riequilibrare la struttura per età del paese. Gli specialisti sanno bene che questo potrà, eventualmente, solo rallentare il passo”.
La previsione di Livi Bacci non è, purtroppo, una semplice opinione ma una constatazione derivante da studi decennali.
Negli ultimi 20 anni la popolazione residente è aumentata di poco meno di 2 milioni, passando da 57 milioni circa a 58,8 milioni.
Questo incremento è però la “somma algebrica” di due valori ben precisi: gli italiani sono diminuiti di quasi 2 milioni mentre gli stranieri sono aumentati di poco meno di 4 milioni.
Il fatto è che questa dinamica è molto diversa fra nord e sud.
Vediamo i dati relativi all’aumento/diminuzione di popolazione fra il 2001 e il 2022
(valori arrotondati ed espressi in migliaia)
Totale popolazione | Italiani | Stranieri | |
CENTRO NORD | + 2.550 | – 500 | + 3.050 |
SUD | – 700 | – 1.350 | + 650 |
TOTALE | + 1.850 | -1.850 | + 3.700 |
Livi Bacci fornisce anche qualche ulteriore dato di sintesi, sulla base del recente Rapporto Svimez e spiega: “Le migrazioni interne dal Mezzogiorno al resto del Paese degli ultimi due decenni hanno interessato coorti di più ridotte dimensioni con un più elevato grado di istruzione, un’equilibrata presenza femminile e soprattutto giovani in condizione riproduttiva. Ciò ha contribuito ad accentuare gli squilibri con il Nord. Il Sud invecchia ‘dal basso’ per sottrazione di giovani che, lasciando le regioni meridionali, favoriscono, nel resto del Paese, la crescita della popolazione e, al tempo stesso, un suo più equilibrato rapporto intergenerazionale”.
Ma la questione è molto complessa perché c’è un’altra variabile da tenere presente: la dinamica demografica è legata non solo alla differenza fra nord e sud ma anche al rapporto fra le aree metropolitane e le aree interne (quelle cioè in cui mancano uno o più servizi essenziali per sanità, istruzione e mobilità.
“Nel periodo 2011-202 – spiega Livi Bacci – la popolazione del Mezzogiorno è diminuita del 5,2%, scomponibile in -4% per i “centri” e -7,3% per il totale delle “aree interne”. Tra queste ultime c’è un evidente gradiente strutturale, legato all’isolamento: la diminuzione è maggiore per le zone “ultraperiferiche” (-11,7%), e minore per quelle periferiche (-8,7%) e per quelle intermedie (-5,8%). È tuttavia sintomatico che anche le aree centrali, provviste dei servizi essenziali, abbiano cessato di essere attrattive, e perdano popolazione”.
E conclude: “Oramai anche il Mezzogiorno fa parte della ‘società dei seniores’ che caratterizzerà il prossimo mezzo secolo, e che sollecita una rivoluzione culturale, politica e sociale nel nostro modo di guardare al futuro”.
La sensazione è che le misure messe in atto dal Ministero dell’Istruzione per le scuole del sud siano soltanto un pannicello caldo che certamente può essere utile ma non potrà essere in alcun modo risolutivo di una situazione che avrebbe bisogno di ben altri macro-interventi di sistema.
Gli stessi sindacati sembrano interessati solo marginalmente e non paiono completamente consapevoli delle conseguenze disastrose che il calo demografico potrebbe avere nei prossimi decenni.
Nell’ipotesi migliore potremmo avere un incremento considerevole delle aree interne e un cambiamento strutturale della popolazione delle aree metropolitane, con un numero sempre maggiore di stranieri.
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