In 60 anni, nel nostro Paese, la natalità si è più che dimezzata: dagli anni d’oro del “baby boom” (la prima metà degli anni ’60) quando nascevano quasi un milione di bambini all’anno siamo arrivati al 2020 con poco più di 400mila nascite.
Il dato drammatico, sul quale è intervenuto anche il Papa, è stato presentato nella giornata del 14 maggio dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo nel corso degli Stati Generali della natalità.
Il primo crollo della natalità si ebbe a partire dalla metà degli anni ’70 quando si passò quasi improvvisamente da una media di poco inferiore a 900mila nati all’anno ad una media di circa 650 mila.
Di lì in avanti il calo è stato costante se si eccettua il primo decennio del nuovo secolo quando si è assistito ad un lieve incremento della natalità grazie all’apporto delle famiglie di immigrati.
I demografi non nascondo la loro preoccupazione perché stimano che, ormai, molto difficilmente si potrà tornare a contare più di 400mila nati all’anno, a meno che i Governi non decidano di avviare serie politiche di sostegno ai giovani e alla famiglie.
Il calo demografico avrà ripercussioni molto pesanti sul sistema scolastico perché non sarà facile mantenere inalterato il numero delle classi, soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella primaria e in particolare nei piccoli paesi e cittadine meno popolose dove già oggi accade spesso di dover istituire pluriclassi.
Nelle secondarie di secondo grado potrebbe risultare difficile riuscire a garantire la sopravvivenza dei diversi indirizzi nelle città più piccole.
Insomma, nell’arco di questo decennio sarà del tutto indispensabile pensare ad una diversa organizzazione del servizio scolastico.
Il problema è molto serio e non riguarda solo la scuola, perché di questo passo l’Italia si trasformerà ben presto in un Paese di vecchi: agli inizi degli anni ’90 gli ultranovantenni erano circa 200mila, oggi sono più di 800mila.
Sempre in questi trent’anni gli italiani in età lavorativa (20-64 anni) sono diminuiti di 1,4 milioni, mentre gli over 65 sono aumentati di 1,7 milioni.
In 4.572 comuni (25,5 milioni di residenti) – ci dicono i dati Istat – al 1/1/2021 ci sono più ultraottantenni (i bisnonni) che bambini con meno di 10 anni (i pronipoti). Il dato medio nazionale è di circa 1 a 1.
Addirittura in 1.088 comuni i bisnonni sono il doppio dei pronipoti e solo in 362 sono meno della metà.
E c’è un altro fenomeno importante: la popolazione complessiva sta diminuendo fra il 2014 e il 2019 si sono persi più di 700mila abitanti.
Si tratta di dinamiche che hanno conseguenze pesanti sull’intera tenuta del sistema sociale, basti pensare alla necessità di rivedere le politiche sanitarie e assistenziali.
Osservano i ricercatori dell’Istat che da 26 potenziali pensionati (in età 65 e più) per ogni 100 potenziali lavoratori (in età 20-64) nei primi anni ’90, si è giunti a 39 per ogni 100 nell’ultimo quinquennio.
Questo significa – sottolinea sempre l’Istat – che, con meno forza lavoro, si dovranno produrre le adeguate risorse per garantire gli equilibri di welfare.
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