Una questione di cui non si parla, ma che merita, invece, di essere considerata la prima preoccupazione, o così dovrebbe, di tutti noi.
Per entrare subito nel merito cito un caso emblematico.
Un comune del vicentino, di oltre 6000 abitanti, oggi può contare solo su due classi prime della scuola primaria, cioè della scuola elementare.
Nel frattempo, i nati di quest’anno in tutto il suo territorio sono solo una decina.
Fra non molto, cioè, non farà nemmeno una classe prima.
E sono solo dei paraventi qualitativamente di poco conto le scelte di una classe pluriclasse, cioè con bambini di anni diversi tutti assieme.
Sappiamo già il deficit didattico ed educativo…
In poche parole, nei nostri discorsi non si parla della curva demografica, la quale sta dicendo cose molto chiare.
Forse aveva ragione il vecchio Erodoto: “Fra le pene umane la più dolorosa è quella di prevedere molte cose e di non poterci fare nulla”.
Ma è proprio vero che non possiamo farci nulla?
Le politiche di sostegno alle famiglie, si sa, in Italia latitano, anche se sappiamo che la crisi demografica va oltre anche queste politiche.
E saranno poi le migrazioni che ridisegneranno, tra non molti anni, le dinamiche sociali ed economiche.
Già da ora, ad esempio, nella mia ASL si stanno inseguendo medici e sanitari di altri Paesi, dell’est Europa o del Nord Africa francofono.
L’Istat ci ha già detto, per sommi capi, come e quanti saremo fra 50 anni.
In poche parole, ci ha detto che saremo parecchi di meno, che gli anziani saranno molti più dei giovani e che le famiglie saranno sempre più piccole, con rilievi sociali evidenti, comprese le pensioni solo contributive che avranno bisogno di forti iniezioni da fondi privati, già versati per tempo, col sistema integrativo.
Tutta la società sarà dunque ridisegnata.
L’Istat ci offre tre grandi linee di tendenza alle quali poi, con piccole variazioni, soprattutto per noi occidentali, dovremo dare seguito, date le percentuali più o meno verosimili.
Per quanto riguarda il nostro Paese, saremo 12 milioni di abitanti in meno, soprattutto al Mezzogiorno, per via di un trend di nascite che sino ad ora è stato più positivo rispetto al Nord.
Ma il calo sarà decisivo anche per il Nord-est, oggi sempre più traino economico del nostro Paese.
I cartelli, infatti, che indicano la ricerca di personale non si contano più, tant’è che lo stesso mondo economico ha, con diversi appelli, chiesto alla politica di rivedere le strategie sui migranti.
Non solo. Sono episodi di questi giorni i licenziamenti di diversi sanitari dalle strutture pubbliche e private attirati da contratti di lavoro senza turni e senza weekend. Lasciando tanti posti vuoti nella sanità, e non solo per la sospensione dal servizio di novax.
Rimanendo nel Nordest, il Veneto avrà 660.000 abitanti in meno, sui 4.800.000 di oggi, l’Emilia 360.000 sui 4.500.000, il Friuli 200.000 su 1.200.000. Beh, basta girare i paesi di queste regioni, e vedere quante sono le case chiuse, con lo spopolamento di intere contrade.
Qui ci vorrebbe non solo l’ecobonus, per ridare a queste realtà nuova vita.
Solo il Trentino, secondo le proiezioni, avrebbe 50.000 abitanti in più, sugli attuali 1.080.000 mila. Questo perché il Trentino, per la qualità della vita, è sempre ai primi posti.
Viste queste proiezioni, sorprende, ad esempio, che ci siano ancora amministrazioni comunali che fanno i salti mortali, adocchiando bandi vari, per investire in edilizia scolastica, mentre tutto questo comparto andrebbe ridisegnato, visti i numeri che si prospettano, superando vecchi campanilismi, per pensare a scuole-campus, con una più adeguata gestione degli spazi per avere più flessibilità di utilizzo dei tempi-scuola, per valorizzare cioè in modo culturalmente più significativo spazi e tempi comuni delle comunità locali.
E perché non immaginare, da subito, Ptof comprensoriali, cioè con scuole coordinate tra di loro su gestione, indirizzi e piani di studio e progetti vari?
Perchè non anticipare ciò che sarà giocoforza adottare fra pochi anni?
La situazione demografica attuale è ancora legata al baby boom degli anni cinquanta e sessanta, e potrà avere un riequilibrio solo fra decenni.
Avremo, nel frattempo, un rapporto in percentuale di un solo ragazzo, fino ai 14 anni, per tre anziani oltre i 65 anni.
La speranza, poi, di vita sarà per i maschi di 87 anni e per le donne sui 90 anni.
Sarà dunque complicato, per questa situazione, mantenere l’attuale livello di welfare.
Per le famiglie, una su tre sarà composta da una persona sola.
Prima, poi, del 2050 le coppie senza figli supererà le coppie con figli.
Un futuro, quindi, che oggi immaginiamo, ma che dovremo riprendere in mano, aprendo porte e finestre alle popolazioni che, invece, i figli ancora li fa.
Quindi una società aperta, pluralista, con etnie di provenienza diversa, come già si può riscontrare girando per le grandi città europee ed americane.
Saranno dunque i migranti, per motivi vari, che ci salveranno?