Attualità

Calo demografico: in diverse province del sud è ormai allarme rosso, forse è troppo tardi per intervenire

Ci sono nel nostro Paese 12 province che, tra il primo gennaio 2014 e il primo gennaio 2022, hanno perso popolazione una velocità molto superiore a quella dell’Italia.
“Infatti mentre la popolazione italiana perde il 2,3% dell’ammontare degli abitanti al primo gennaio 2014, la popolazione delle 12 province a più bassa densità cala del 5,6%, una perdita proporzionalmente 2,5 volte più grande di quella media della popolazione italiana”: il dato viene proposto nella rivista online Neodemos da Roberto Volpi, studioso di statistica e autore di diverse pubblicazioni in cui vengono descritte le dinamiche demografiche nazionali.

Ma quali sono le province da tenere sotto la lente di ingrandimento?

Sono Nuoro (con 35 abitanti a kmq è la provincia italiana con la più bassa densità di popolazione), Aosta (38), Grosseto (48), Oristano (49), Sud Sardegna (51), Isernia (52), Potenza (53), Rieti (55), Belluno (55), Matera (55), Sondrio (56), L’Aquila (57). 
Come si vede si tratta di province con una densità di popolazione ampiamente sotto la media nazionale, che è di poco inferiore a 200.

Il fatto è – osserva Volpi – che le province con le perdite più alte sono tutte del Mezzogiorno.
“Altro dato – spiega – che conferma quello che ormai già sappiamo: il Mezzogiorno perde e perderà abitanti a una velocità ben superiore a quella del Nord, cosicché saranno le sue aree più interne e periferiche a correre il rischio di una desertificazione crescente – come del resto dimostra anche il fatto che le province che scenderanno sotto la soglia dei 60 abitanti a kmq nei prossimi anni saranno a grande prevalenza del Mezzogiorno”.

La perdita di popolazione dell’Italia iniziata alla fine del 2014 avviene in modo tale da approfondire le differenze territoriali del popolamento italiano, con una conseguenza paradossale:  “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
“La popolazione – conclude Volpi – avrà una migliore tenuta nelle aree densamente popolate (e ricche); precipiterà in quelle più spopolate (e povere), anche perché se si vanno a guardare i dati per età, si osserva che la maggior perdita di popolazione è concentrata proprio nella popolazione con meno di 50 anni. Alla luce di questi dati demografici, queste province dovranno trovare una ragion d’essere assieme economica e culturale per evitare uno spopolamento ancor più accelerato”.
A chi si occupa delle dinamiche della popolazione scolastica l’articolo di Roberto Volpi può offrire qualche ulteriore elemento di riflessione, con una avvertenza: non si può rinviare ancora un esame approfondito della questione, perché quando ci troveremo di fronte ad effetti generalizzati dello spopolamento potrebbe essere troppo tardi per intervenire.

Reginaldo Palermo

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