Ogni volta che l’Istat diffonde i dati sull’andamento della popolazione del Paese si susseguono le solite dichiarazioni che non sappiamo neanche se vanno definite imbarazzanti o lapalissiane.
La ministra per la famiglia Roccella sottolinea che “il piccolo calo attuale conferma il calo demografico in corso da decenni” (insomma quasi come “un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”).
Il ministro Valditara, in perfetto “stile Lapalisse”, sottolinea che il rapporto fra scuola demografia è assolutamente centrale.
I sindacati, non oggi ma in ogni circostanza, ripetono che il calo demografico deve essere una occasione per diminuire il numero degli alunni per classe e magari anche per aumentare gli organici.
Di tanto in tanto c’è chi si lancia in proclami accattivanti (bonus-bebé, asili nido per tutti, per esempio) che non vanno però a toccare le ragioni profonde per cui oggi, in Italia, la natalità è in calo (ragioni che, peraltro, non sono chiare neppure ai demografi e ai sociologi).
Sembrano scarseggiare riflessioni e analisi un po’ meno superficiali che riguardino invece i problemi dell’organizzazione della scuola.
Facciamo alcuni esempi fra i tanti che si potrebbero fare: esistono piani sistematici per “riconvertire” ad uso sociale e culturale gli spazi scolastici che inevitabilmente risulteranno inutilizzati nel prossimo decennio?
Si potrebbe incominciare a pensare ad una diversa organizzazione didattica della scuola primaria in modo da evitare che le classi vengano formate facendo riferimento esclusivamente all’età anagrafica degli alunni?
Perché il vincolo dell’età anagrafica si può superare soltanto nelle scuole “pluriclassi” che hanno poche decine di alunni in tutto?
Perché, nelle realtà periferiche ed extracittadine, non incentivare progetti di ricerca per realizzare “scuole di comunità” che possano accogliere non solo gli alunni fra i 6 e i 14 anni ma anche giovani o adulti con funzioni tutoriali o di insegnamento laboratoriale?
Ma di idee ce ne possono essere ancora molte altre, bisogna però avere la voglia e il coraggio di discuterle ed eventualmente di sperimentarle.
L’inerzia attuale non serve a nulla se non a rendere sempre più difficile qualsiasi soluzione.
La sensazione è che molti preferiscano stare a guardare per poter poi imprecare contro il “destino cinico e baro” quando non si sarà più nulla da fare.
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