«Tu, docente, insegnerai con dolore…». Parrebbe questo il ritornello introiettato dai docenti, dal fatidico primo giorno in cui sedettero in cattedra per svolgere quel nobilissimo compito che oggi sembra inviso alla maggior parte dei nostri concittadini. E forse — dice qualcuno, ma sarà vero? — non è un caso che l’82,9% degli insegnanti italiani sia donna, visto che le donne italiane sono state allevate nel senso di colpa.
Basta parlare con un insegnante per accorgersi che tutte le sue giuste lamentele su paga, carichi di lavoro, discredito sociale e via enumerando, alla fine del discorso si infrangono sul muro del «Be’, però in fondo siamo privilegiati». A nulla vale il chiedere in cosa i docenti italiani sarebbero privilegiati rispetto agli altri lavoratori. Così tutti si sentono, perché così si sentono tutti. E così si sentono tutti perché da 30 anni questo è il refrain cantato di bocca in bocca, di giornale in giornale, di TV in TV. A riprova che, come diceva un certo Joseph Goebbels, «Se dici una balla enorme e continui a ripeterla, prima o poi il popolo ci crederà».
Quali sarebbero i privilegi dei docenti? «Il lavorare 18 ore»? Falso: i docenti delle scuole medie e superiori preparano e svolgono 18 lezioni a settimana, ognuna delle quali dura un’ora. È molto diverso. Ogni lezione richiede un lavoro accurato di preparazione culturale, contenutistica, psicologica (in una parola, didattica) specifico. Sono almeno altre 12-15 ore. Lo sa chi insegna, non chi (in birreria, sulla carta stampata o in TV) blatera sull’insegnamento senza averlo mai praticato. I docenti elementari, pagati ancor meno dei (pure sottopagati) colleghi di medie e superiori, di lezioni ne svolgono 22, a bimbi dai 5 agli 11 anni. Ogni ora d’insegnamento costa fatica fisica e mentale, assolutamente non paragonabile con quella di nessun impiegato.
Così come non è paragonabile con quella degli impiegati la responsabilità civile e penale dei docenti, cui è affidata la vigilanza sui minori. Se un insegnante arriva tardi al lavoro, le conseguenze della sua “culpa in vigilando” possono condannarlo risarcimenti milionari e alla galera. Responsabilità gravante persino sui collaboratori scolastici (i “bidelli”), che per di più conoscono i ragazzi e coadiuvano i docenti nella mediazione educativa, con quella serietà che ogni adulto mette in campo quando ha a che fare tutti i giorni coi giovanissimi. Nemmeno i “bidelli” son paragonabili agli uscieri o agli altri ausiliari dello Stato, che non hanno responsabilità penali e civili sui minori.
Ma torniamo all’orario lavorativo dei docenti. Chi ne sparla a sproposito, “dimentica” l’enorme mole di lavoro comportata per i docenti dalla correzione casalinga di elaborati e verifiche (soprattutto per le materie letterarie, linguistiche e matematiche, ma, in misura diversa, per tutti gli insegnanti). Per non citare le tante riunioni degli organi collegiali: collegi dei docenti, consigli di classe, riunioni per materie: decine di ore di lavoro non retribuito. Cui s’aggiungono, per gli eletti nel consiglio d’istituto, anche le riunioni del medesimo (pure non retribuite). I docenti RSU hanno poi l’onere delle riunioni di contrattazione (non retribuite), oltre al lavoro di studio sull’argomento, di assemblea, di mediazione tra lavoratori e parte datoriale; i docenti RLS hanno ulteriori oneri non retribuiti, come le riunioni periodiche sulla sicurezza e i corsi di aggiornamento. Calcolando tutto ciò, si arriva a una media di 60 ore di lavoro a settimana per 10 mesi. Altro che 18! Altro che “troppe vacanze”!
A proposito di retribuzione. I docenti italiani (laureati anche alle elementari) sono i meno pagati d’Europa: lo testimoniano anche i sindacati “maggiormente rappresentativi” (che lo sanno bene, perché hanno sempre firmato tutti i contratti scuola dal 1993, e sono “maggiormente rappresentativi” anche per questo). I docenti sono anche i meno pagati tra i laureati italiani che svolgono mansioni da laureati.
Sta poi venendo meno anche il “privilegio” della libertà d’insegnamento: ossia del diritto di deciderne autonomamente contenuti, metodi, mezzi e strategie. Grazie, infatti, alla cosiddetta “autonomia scolastica”, alla “buona scuola” (legge 107/2015) e ai tanti provvedimenti che in 30 anni hanno mutato la scuola pubblica in azienda, la libertà d’insegnamento è sempre più espressione giuridica priva di contenuti effettivi (anche — bisogna ammetterlo — per la rinuncia difenderla da parte della stragrande maggioranza dei docenti stessi).
Allora, docente che leggi: credi ancora di meritare il tuo senso di colpa? È una colpa non lavorare negli altiforni o in miniera o alla catena di montaggio o in un ufficio pieno di scartoffie? O non devi piuttosto paragonare la tua professione a quella degli altri laureati, se non vuoi confondere i giudizi di fatto coi giudizi di valore? Quale altro professionista laureato accetterebbe un pagamento “forfettario” di € 200 per progetti e mansioni extra che richiedono 40 ore di lavoro? Quale colf, quale meccanico, quale idraulico accetterebbe€ 5 l’ora?
Diciamocelo francamente, docenti: se volete sopravvivere (e salvar la scuola), dovete demolire i sensi di colpa: primo passo per cambiare la vostra vita (e di conseguenza, vista l’importanza della scuola, il futuro comune).
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