Due anni e mezzo fa, quando il Governo Berlusconi giunse al termine, i siti sindacali (e non solo) incominciarono a riempirsi di comunicati e interventi che davano ormai per scontata la fine poco gloriosa che sarebbe toccata al “decreto Brunetta” (il n. 150 del 2009) e a tutte le norme ad esso correlate.
Il decreto 150 finirà nel cestino della carta, pronosticavano gli “esperti” sindacali, l’era Brunetta è finita prevedevano in molti.
E invece le cose sono andate ben diversamente. Non solo, ma neppure con il Governo Letta è cambiato qualcosa.
Men che meno (almeno per ora) con il Governo Renzi.
Anzi, paradossalmente proprio quelle forze politiche nelle quali i sindacati riponevano ampia fiducia pensando che in pochi mesi avrebbero fatto piazza pulita delle norme “anticontrattuali” di Renato Brunetta stanno utilizzando le disposizioni del decreto 150 ogni volta che ne hanno la possibilità.
L’ultima vicenda in ordine di tempo riguarda il decreto legge sulla riforma della Pubblica Amministrazione.
All’articolo 4 (quello relativo alla mobilità dei dipendenti pubblici) si legge chiaramente che “sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le disposizioni di cui ai commi 1 e 2”: sembra quasi una frase pronunciata da Brunetta in persona, e invece sta scritta – nero su bianco – proprio in un decreto legge firmato da un bel gruppetto di ministri del Governo Renzi, tra cui anche alcuni del PD, quello stesso partito che nella campagna elettorale del 2013 aveva giurato che il decreto Brunetta sarebbe finito o in soffitta o nel cestino della carta straccia.
Ma, come si sa, in politica è come nei film di 007: “Mai dire mai”.
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