“Cancellare la storia è pericoloso e idiota”, così titola un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 20 novembre che recensisce un libro di Dino Messina “La storia cancellata degli italiani”.
Il saggio indaga il fenomeno della “cancel culture” nato negli Usa (v. ad esempio Cristoforo Colombo accusato di schiavismo) e approdato anche in Italia, con numerosi episodi che testimoniano lo scadimento culturale dei tempi in cui viviamo, a cui i “social” hanno ben contribuito col superficiale manicheismo del pollicino alzato o abbassato, che scatena con un clic la furia fra opposte fazioni, fra buoni e cattivi.
Cancellare la storia e galleggiare in un eterno presente Il libro, leggiamo sul Fatto, è “una documentata, agile, salutare radiografia di come pure in Italia, sull’onda del fenomeno americano della cancel culture , si sia scatenato un revisionismo a volte penoso, becero, ma ostinato e prediletto dai mass media e dai “social ”, tanto di destra quanto di sinistra, nei confronti di tutto ciò che non si condivide del mondo di ieri. Un’ondata agitata da gruppi e associazioni di vario genere, che comunque, se la prendono con i simboli del passato, in una tardiva resa dei conti che non ammette contestualizzazioni né analisi storiche”. Siamo arrivati insomma al “trionfo dell’uso strumentale e spesso ignorante della storia, della memoria, che porta appunto alla loro cancellazione, per sfociare in un eterno presente”.
Le assurdità sono ormai numerose, “dalle censure a Dante per le terzine su Maometto nella Divina Commedia” alla “querelle ostile al Museo Cesare Lombroso di Torino, reo di razzismo perché detiene il cranio, uno tra i tanti, di un poveraccio calabrese del 1800. Fino al boicottaggio in tempo di guerra in Ucraina di tutto ciò che è russo, ma non dei russi di adesso, bensì di quelli della cultura, della musica, di ieri”.
Quando nella storia è scoppiata una rivoluzione, la rabbia popolare si è sempre scatenata contro i simboli del potere del regime abbattuto, e le statue dei capi e dei leader hanno sempre fatto una brutta fine. Ma ben diverso è voler cancellare storia, arte e cultura, per affermare esclusivamente i “valori” del presente.
Si moltiplicano tuttavia gli episodi che fanno molto discutere.
– La statua di Montanelli a Milano, che doveva celebrare il famoso giornalista, è stata più volte imbrattata di vernice e scritte con l’accusa di essere stato un soldato fascista in Etiopia.
– La foto di Mussolini, in una sequenza fotografica che esponeva i ritratti di tutti i ministri che si sono succeduti nella sede del Ministero dello sviluppo economico dal 1932 ad oggi, ha provocato una furiosa indignazione in taluni, tanto che l’attuale ministro Giorgetti, per evitare polemiche, ha scelto di toglierla. Quel ritratto non era però una immagine celebrativa, ma storica. Come spieghiamo ai nostri studenti il vuoto che si è creato non tanto nella parete, quanto nella conoscenza dello sviluppo storico?
– I busti del duce scatenano ogni volta polemiche a non finire. Qualche anno fa a finire nel mirino è stata una mostra di raffigurazioni del duce organizzata al museo di Salò di cui è direttore Giordano Bruno Guerri, storico del fascismo e presidente della fondazione Vittoriale degli Italiani.
– Anche la parola “bivacco”, usata in centinaia di provvedimenti cosiddetti anti degrado a livello comunale, è diventata politicamente scorretta, meglio cancellarla. I giornali riferiscono di un’aspra polemica avvenuta nei giorni scorsi in consiglio comunale a Napoli sul nuovo testo del Regolamento di sicurezza urbana. Secondo alcuni consiglieri, sarebbe una forzatura lessicale perché “evoca il discorso di Mussolini del 1925 dopo l’assassinio di Matteotti” (i giornali riportano questo virgolettato, ma la data è sbagliata: il discorso del bivacco è del 1922, dopo la marcia su Roma).
A questo punto la domanda è: se andiamo avanti di questo passo, cosa celebriamo il 25 aprile? Prima non c’è stato nulla!
Insegnare che mai vanno oscurate la storia e le manifestazioni artistiche. Rappresentano le nostre radici, nel bene e nel male, e spiegano perché siamo quello che siamo. I ragazzi vanno educati a conoscere, capire, valutare. A non limitarsi a una sola fonte, cercare, confrontare (con approccio critico e consapevolezza che vale anche nell’utilizzo delle tecnologie digitali). Vanno educati a usare la testa, ad apprezzare la libertà, a fruire della bellezza dell’arte, a essere tolleranti.
Storia, arte, educazione civica sono tre insegnamenti di fondamentale importanza per sviluppare le competenze di cittadinanza, ma anche la competenza in materia di “consapevolezza ed espressione culturale”, una delle otto competenze chiave indicate nel quadro di riferimento europeo.
Qualsiasi fatto storico, artistico, culturale va studiato, interpretato, valutato rispetto alle conoscenze ai valori attuali, ma non possiamo premere il tasto Canc e buttare nel cestino quello che non ci piace.
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