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Capodanno con le pistole in mano ai bambini

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La denuncia è partita dal deputato di Alleanza Verdi Sinistra, Francesco Emilio Borrelli a cui sono stati consegnati numerosi video da parte di cittadini napoletani giustamente preoccupati per le scene a cui hanno dovuto assistere e  nei quali è documentata la notte di Capodanno a Napoli, in prossimità e subito dopo la mezzanotte.

E cosa si vede? “Spari ad altezza d’uomo, bambini e donne che impugnano armi esplodendo colpi in strada, un padre che consegna la pistola al figlio di due anni, campionario di mentalità criminale ed irresponsabilità. Atti criminali che nulla hanno a che vedere con i festeggiamenti”.

E Borrelli ricorda ancora che tra i 36 feriti del Capodanno napoletano ci sono anche due persone centrate da colpi di pistola vaganti: una ragazza ferita di striscio a un braccio e un turista colpito a un polmone da un proiettile, ricoverato in codice rosso. 

Nelle decine di video che sono stati inviati al parlamentare vengono ripresi “criminali che sparano con armi da fuoco in strada o dai balconi di casa per celebrare l’arrivo del nuovo anno. Tra di loro diversi bambini”.

Ora questi bambini, aggiungiamo noi, frequenteranno le scuole, avranno rapporti di amicizia con altri coetanei e dovranno pure confrontarsi coi loro insegnanti, mentre in classe dovrebbero mantenere un comportamento coerente con l’istituzione che la scuola rappresenta.

Tuttavia, riflettendo bene, provenendo da una realtà sociale tanto violenta e da un rapporto educativo parentale così duro, come si relazioneranno con i precetti di legge che lo Stato di diritto pretende dai suoi cittadini? 

Se già disattendono, su esempio e istigazione dei genitori, gli elementari codici di comportamento, rischiando la loro vita e quella degli altri, impugnando pistole e armi per offendere, come potranno accettare le regole volute dalla scuola? 

Se sulla violenza i loro genitori li avviano, consegnando pistole per uccidere, come percepiranno i giusti dettami della disciplina, sia quella legata al comportamento e sia quell’altra legata alle discipline dei saperi? 

Solo da questa semplice riflessione si afferra quanto difficile (talvolta persino pericoloso) sia il lavoro dei docenti in quelle scuole frequentate da bambini educati da simili esempi, comprese le parole che li hanno accompagnati.

Ecco, dopo cronache simili, si dovrebbe pure riflettere sulla scelta del personale da impiegare in queste scuole di frontiera nelle quali spesso si trova il supplente alle prime armi o il precario trasferito per coprire il posto lasciato vuoto dal collega in malattia. Una malattia magari dovuta allo stress per le continue sfide che ragazzi, educati dai genitori alla sopraffazione e alla pistola facile, ingaggiano coi loro docenti per stabilire persino chi deve dettare le regole in classe.