Nell’occasione di un dibattito aperto lanciato dalla scrittrice Susanna Tamaro e raccolto da alcuni che hanno creato una sponda verso un rilancio a metodologie didattiche innovative con ricadute anche in termini di contenuti diversificati, è doveroso consegnare un contributo alla storia di tali argomentazioni sopratutto da chi la scuola la vive quotidianamente, senza sintetizzare dal salotto di un attico problematiche assolutamente complesse e di difficile gestione.
Normativamente è indubbio che la madre di ogni battaglia parte da quella riforma Berlinguer del 1997 che ha aperto la strada alla rifondazione di un qualcosa che però era già stato risolto, infatti il dibattito italiano sull’istruzione di fine anni ‘60 ha fortificato generazioni di professionisti dimostratisi preparati ad affrontare le sfide incontrate nella storia che ci appartiene.
Quella riforma cosiddetta “scuola nuova” celava il suo primario obiettivo di scardinare un baluardo simbolo dell’Italia in una decadente aziendalizzazione che a verificarne i risultati non ha avuto alcun successo.
Eccoci dunque oggi in un vortice di assoluta burocratizzazione, che aggiunge altra burocrazia per tentare di risolvere falle precedenti.
Dispersione scolastica, interpretazione discutibile del termine inclusione, progettifici e rincorsa a finanziamenti, questa la scuola delle competenze che aborrisce al sentire Verga o Pirandello.
Generazioni storicizzate hanno dimostrato che la scuola delle conoscenze invece, produce non solo sapere fine a se stesso ma capacità critica di scindere cosa si e cosa no, nell’idea di una immediatezza che risolva il problema qualsiasi esso sia, cosa invece che spesso resta difficile alla figura del dirigente scolastico attuale che ha ceduto l’umanità dei presidi di un tempo per annunciare un PNRR che porterà nuovi laboratori colorati senza però avere scuole a norma.
L’ossimoro italiano ripudia i nostri padri letterari nel nome di un non ben chiaro progetto che neanche può essere chiamato avanguardia, in quanto chi ha rappresentato tale rivoluzione, penso a Sanguineti, Balestrini, Guglielmi, alla ricerca di una nuova voce letteraria che interpretasse l’Italia del boom, ha posto come base sempre la presenza dei mostri sacri della nostra letteratura, pur mettendoli in discussione.
Ciò per dire che non esiste cambio di passo senza l’attenzione alla tradizione letteraria figlia senz’altro anche di un classicismo che ci appartiene.
Per cui alla considerazione “Io sto con la Tamaro” si risponde con “Noi stiamo con Carducci e De Sanctis” e tutti i padri assoluti della letteratura, per un ritorno alla istruzione in termini di conoscenze che portano da se le competenze nella applicazione di quell’insegnamento.
Valentino Di Carlo
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