È stata condannata a quindici giorni di reclusione una professoressa palermitana che aveva costretto un proprio studente undicenne a scrivere sul quaderno per cento volte la frase “sono un deficiente”.
La decisione, contenuta nella sentenza n. 34492/2012 della Corte di Cassazione, si basa sul presupposto che “non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti”, ma soprattutto perché “non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini contraddicono”.
La docente è stata, pertanto, giudicata colpevole di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina” ai danni del ragazzo, per averlo “mortificato nella dignità” venendo così meno al “processo educativo in cui è coinvolto un bambino”, sino all’età di 18 anni (Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia).
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