Una professoressa sessantanovenne di un istituto superiore, con alunni compresi tra i 14 e i 15 anni, è stata condanna al carcere perché avrebbe accolto in classe gli studenti mostrando il dito medio alzato e con una serie di insulti che variavano in base al sesso.
E allora, oltre a epiteti irripetibili, c’era “cagna”, “marciume” “deficiente”, mentre indicava il loro futuro lavorativo da mantenute in cambio di favori sessuali che non si faceva problemi ad elencare. Il tutto anche condito da lanci di oggetti, spintoni, e colpi inferti con i libri e con i registri.
La Cassazione, si legge sul Sole 24 Ore, ha così condannato dell’insegnante a tre mesi di reclusione, per abuso dei mezzi di correzione, valorizzando il fatto che la salute dei ragazzi nella difficile età dell’adolescenza era stata messa a rischio dai continui violenti attacchi, da parte di una figura che nella loro vita doveva avere un ruolo ben diverso. Gli insulti “anche con riguardo alla sfera sessuale, avevano determinato un concreto pericolo per la salute mentale e fisica dei giovani alunni, adolescenti e perciò ancora tendenzialmente fragili sotto l’aspetto psichico”.
Determinante sarebbe stata la testimonianza di un collega e le segnalazioni orali e scritte genitori dei ragazzi, oltre che delle stesse giovani vittime. Per lei nessuna attenuante, constatato e accertato che l’imputata aveva comportamenti che definire non professionali sarebbe un eufemismo.
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