Nell’annuale Relazione al Parlamento del dicembre scorso, il Garante nazionale delle persone private della libertà personale (Mauro Palma, ora sostituito dal nuovo Garante Felice D’Ettorre), ha affermato che Istruzione e Formazione costituiscono “il primo intervento ‘trattamentale’. Perché sono queste a costituire il sostegno della consapevolezza che è preliminare all’assunzione della responsabilità – anche di ciò che si è commesso.” Tale sostegno è previsto, normato e sostenuto anche da protocolli stipulati tra Ministero dell’Istruzione e Ministero della Giustizia che dovrebbero darvi sostanza, ma la reale fruibilità dei percorsi di istruzione e formazione riguarda una esigua platea di “ristretti”, se si pensa che meno di un terzo della popolazione detenuta usufruisce dei corsi di istruzione.
Le due istituzioni implicate nella determinazione di spazi e attività (Ministero della Giustizia e Ministero Istruzione, a cui il CESP e la Rete delle scuole ristrette da sempre hanno affiancato anche il Ministero dei Beni culturali), pur nei tentativi posti in essere, rimangono lontane da un intervento complessivo e soddisfacente per rispondere all’obbligo di fornire un trattamento adeguato ai detenuti. E pensare che al Ministero dell’Istruzione basterebbe aprire un Tavolo di confronto e fare il punto della situazione, come previsto persino dalla Legge 107/2015: “Decorso un triennio dal completo avvio del nuovo sistema di istruzione degli adulti e sulla base degli esiti del monitoraggio, possono essere apportate modifiche al predetto regolamento (art 1, comma 23) e che, al Ministero della Giustizia, basterebbe proseguire nell’attuazione di quanto scritto nei protocolli di intesa tra le parti e dar seguito alle Circolari e alle Linee di intervento già stabilite. Nella lunga e complessa attività svolta in questi anni dal CESP e dalla Rete, al centro degli interventi per il riconoscimento della centralità di istruzione e cultura nell’esecuzione penale, sono stati posti proprio quegli interventi diretti al sostegno delle attività didattiche, le quali, pur essendo le uniche a fornire continuità e a imprimere una diversa gestione dei tempi e degli spazi propri del carcere (e per questo entrando spesso in conflitto con la rigidità nella scansione degli stessi), rimangono spesso “al di qua” dei veri bisogni della popolazione detenuta, non riuscendo ad incidere veramente, né sul percorso trattamentale intrapreso dai detenuti, né sulla loro ricollocazione nella società. Con la caparbietà che ha contraddistinto i docenti e i dirigenti della Rete, tali interventi sono stati posti all’attenzione del Ministero della Giustizia che ha accolto molte delle istanze dei docenti, inserendo nel Programma nazionale di innovazione sociale dei servizi di esecuzione penale: legalità, cultura, sviluppo e coesione sociale, la realizzazione di progettualità, quali Biblioteche innovative in carcere (progetto presentato dal CESP e dalla Rete in partenariato con l’Università Roma Tre e svolto per sette anni a Rebibbia Nuovo Complesso), collegate in rete con le altre biblioteche del territorio, delle Scuole e delle Università degli Studi, strutturate in modo da diventare dei veri e propri poli culturali, oltre che di sviluppo di nuove professionalità; di Laboratori innovativi per la formazione professionale e per le attività lavorative e ricreative (nei diversi settori: sostenibilità ambientale, information & communication technology, etc.); per lo sviluppo delle Attività teatrali e delle Arti e dei mestieri, delle Attività sportive e delle professionalità correlate allo sport, ma a diciotto mesi di distanza si sono riusciti a realizzare pochissime delle previste attività. Motivazioni? Le solite: mancanza di personale per la sorveglianza, difficoltà nella gestione di conti correnti che le direzioni devono aprire per ogni progettualità attivata, complicazioni nelle rendicontazioni dei fondi da parte dell’area amministrativa, impossibilità da parte dell’area educativa nel seguire i lavori progettuali oltre il già gravoso e complesso lavoro quotidiano.
Come abbiamo affermato in conclusione della nostra partecipazione al Festival Dei Due Mondi di Spoleto nel luglio scorso, per cercare di migliorare la vivibilità del carcere non occorre aspettare norme che già ci sono, ma farle rispettare e, per riuscire nell’intento, occorre partire da reti territoriali interistituzionali, per una presa in carico collettiva del carcere. Così, nel seminario svolto ad Alessandria il 1° dicembre scorso “Istruzione e cultura in carcere: La Rete delle scuole ristrette: Teatro e Biblioteche nei circuiti penitenziari” si è iniziata a percorrere tale strada e accanto a docenti, dirigenti, direttori, educatori, sono stati coinvolti gli attori istituzionali della città (sindaco, assessori, consulenti di Alessandria Incoming), con l’obiettivo di realizzare, sui singoli territori l’inclusione di soggetti “ristretti”, per poi passare con nuova forza ad un progetto di inclusione di livello nazionale.
Anna Grazia Stammati presidente CESP
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