Poco meno di un terzo di secolo fa, il 2 settembre 1990, moriva John Bowlby, uno dei più importanti psicologi dell’età evolutiva del ‘900.
Nato a Londra nel 1907, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo, Bowlby divenne noto per la sua teoria dell’attaccamento relativa al legame madre-bambino.
Nel corso delle sue indagini egli poté constatare che una separazione precoce dalla madre, ha per il bambino conseguenze importanti e decisive dovute soprattutto all’inadeguata e incompleta formazione di alcune strutture cerebrali da cui possono derivare successivamente disturbi seri della personalità.
Su incarico del suo Governo, Bowlby studiò anche il comportamento dei bambini affidati a strutture assistenziali già dalle prime settimane di vita e giunse alla conclusione che anche negli istituti che garantivano un’ottima assistenza, non si riusciva comunque a garantire una buona crescita emotiva ed affettiva dei bambini e delle bambine.
La ricerca di Bowlby fu influenzata in larga misura dalla psicoanalisi di Freud ma anche dagli studi di etologia di Konrad Lorenz, lo scienziato austriaco che parlò del fenomeno dell’imprinting (fin dalla nascita i piccoli delle anatre seguono la propria madre perché essa è il primo essere vivente che vedono al momento della nascita).
“John Bolbwy – commenta Raffaele Iosa, ex dirigente tecnico, maestro elementare e psicologo – è per me uno degli psicologi del ‘900 più intriganti e profondi. I suoi studi sull’attaccamento toccano una questione essenziale e decisiva della vita umana tutta, non solo dei bambini”.
“La sua idea di attaccamento – spiega Iosa – mette insieme l’istinto biologico di cura e protezione (imprinting) con la tensione di vicinanza emotiva ed affettiva tra due umani asimmetrici per età. Non è amicizia tra pari, ma una relazione che incontra le generazioni nell’intimo. Ma c’è di più: Bowlby con le sue ricerche sugli orfani romeni adottati dimostra magistralmente che l’attaccamento si fa non solo alla nascita, ma può accadere nella vita a qualsiasi età”.
“Nella mia vita – conclude – ho vissuto questo attaccamento nella mia esperienza in Bielorussia e di padre adottivo felice e super-attaccato. In un’epoca del narciso virtuale e degli hikikomori, riscoprire e rivivere anche in educazione il valore dell’attaccamento mi pare oggi più che mai utile”.