Cara collega e caro collega che insegni nella scuola, un nuovo anno scolastico sta per iniziare, nuovi impegni ci aspettano. E’ da tanto tempo che mi gira per la testa la storia di un bambino, ambientata tanto tempo fa, nella mia città. Ha inizio il primo anno della sua carriera scolastica. Come tanti bambini, come capita all’inizio di tante Nuove Avventure, e dopo avere trascorso i primi cinque anni della sua vita ad inseguire instancabili “perché” rivolti a genitori, nonni e zii, approda alla scuola elementare (oggi Primaria), dove ha subito incontrato difficoltà legate al nuovo ambiente, ai nuovi compagni, ai nuovi adulti. E’ una storia fatta di accelerazioni e frenate, a volte brusche, qualche volta non piacevoli. Una storia difficile da raccontare, che vorrei rappresentare per quadri temporali.
“C’era una volta un bambino di sei anni che per la prima volta andò alla scuola elementare – occhi chiari, capelli tagliati corti ed ordinati, grembiule blu, fiocchetto bianco, cartella sotto il braccio, pronto a conquistare un mondo nuovo. Pieno di aspettative. Questo bambino, che chiameremo Francesco (nome di fantasia, bambino reale), aveva trascorso i primi anni della sua vita passando tra una spiaggia estiva dove poteva fare interminabili bagni, raccogliere sassi e conchiglie, giocare con cugini e nuovi compagni, e le strade vicine a casa sua od un “bosco”, dove poteva inventarsi avventure fantastiche. Tutto sommato fino a quel punto aveva avuto una crescita serena e senza strattoni. Ma arrivato all’età di sei anni, in concomitanza all’ingresso nella scuola elementare, tutto di colpo cambia
Il primo incontro con i compagni e l’insegnante – fu diverso da come si aspettava. Non tempi e luoghi per giocare e fare amicizie, ma intere mattinate seduto al proprio banco, impegnato a soddisfare “richieste astruse”. Cinque ore senza potersi muovere, fatta eccezione per un piccolo intervallo chiamato “ricreazione”, utilizzato per la merenda e per andare in bagno. Non disegni liberi ma quaderni fatti da tante righe e quadretti da riempire con segni attraverso oggetti infernali, penne e matite, che non poteva utilizzare nel modo che più gli aggradava (ora con una mano, ora con l’altra), ma solo ed esclusivamente con la mano destra, considerata dalla Scienza del tempo l’unica utilizzabile allo scopo perché l’altra mano, la sinistra, era considerata “la mano sbagliata”. I primi contrasti con la maestra per questa richiesta per il fatto che la sua propensione naturale considerava la sinistra congeniale allo scopo anziché la destra. Correzioni ripetute, continue, sistematiche, ad opera di una vestale vestita di nero (il grembiule), pronta a salvaguardare e diffondere “Il Giusto Modo”, la Tecnica rispettosa della “scrittura conforme”. Fino a quando…fino a quando un brutto giorno quel bambino, vessato ripetutamente per questa sua stranezza, la mano sinistra, ha dato un calcio ad una sedia ed ha detto basta, decretando la fine, ancora prima di iniziare, di un percorso scolastico fatto di successi e di conquiste.
L’anno successivo la maestra di quel bambino cambia – Forse perché la “maestra con il grembiule nero” ha ottenuto il trasferimento in altra sede, forse per il fatto di essere andata in pensione, o altro. Non importa il perché. Quanto interessa in questa mini storia è che il cambiamento per Francesco è importante perché la nuova insegnante, “maestra Margherita”, non sembra essere interessata tanto alla sua mano quanto al suo viso. Lo guarda negli occhi e gli sorride, vede le sue difficoltà non tanto come errori da giudicare ma fragilità da sostenere in vista di un loro superamento. Una ripartenza! Naturalmente non rinuncia ai doveri di maestra, perché insegna a lui ed a tutti gli altri a “leggere, scrivere, far di conto”, ma lo fa in un modo diverso rispetto alla maestra del primo anno di scuola, facendosi carico per la parte che le compete delle difficoltà dei piccoli bambini che gli hanno consegnato, e senza mai giudicarli. Ed il fatto importante non è che abbia rinunciato a fare scrivere correttamente Francesco ed i suoi compagni, ma che lo abbia fatto suggerendo tecniche e strumenti che possano aiutarlo a superare la difficoltà della conquista della scrittura attraverso l’uso di penne di tipo diverso per leggerezza d’uso e scorrevolezza sul foglio. Anche se… anche se per Francesco (e chissà per quanti altri), il danno ormai era diventato permanente, perché la soppressione dell’uso della mano sinistra nella scrittura lo ha consegnato ad un destino che gli esperti di allora, ed anche quelli di oggi, dicono si chiami “disgrafia”. Ma a parte la difficoltà della mano sinistra, che nemmeno “maestra Margherita” poteva sapere non essere un errore ma attitudine da rispettare, Francesco verso la sua maestra ha sempre mantenuto un’affetto che lo ha spinto, una volta conclusa la carriera scolastica alla scuola elementare, ad andare a trovarla in più di un’occasione nella sua casa accompagnato dalla sua mamma.
Due foto ed uno specchio – nel tempo il “bambino Francesco” cresce, studia, diventa, per scelta, collega delle due maestre, quella “con il grembiule nero” e la “maestra Margherita”. Di loro mantiene ben presenti, idealmente, i due ritratti. In mezzo ai due ritratti ha posizionato uno specchio dove di tanto in tanto va per vedere la sua immagine riflessa per capire a quale delle due insegnanti si avvicina. Si tratta di un esercizio importante, anche perché ha provato sulla sua pelle le conseguenze di uno sguardo posato sulla mano anziché sugli occhi di lui bambino.
Voglio dire che ha capito fino in fondo che alla fin fine la cosa più importante nella carriera scolastica di bambine e bambini non è tanto la quantità di fogli riempiti sotto dettatura (che a seconda dei casi può trasformarsi in dittatura della tecnica di scrivere, leggere e pensare a bacchetta a dispetto dell’assenza di interesse dei tanti Francesco), ma l’amore per il Sapere.
Per cui, caro collega e cara collega che stai per iniziare un nuovo anno scolastico, poiché sono convinto che anche tu da studente hai incontrato la tua “maestra con il grembiule nero” e la tua “maestra Margherita”, mi piacerebbe che anche tu guardassi più gli occhi degli alunni e delle alunne che incontri quotidianamente anziché le loro mani ed i loro fogli riempiti in ossequio ad un arido protocollo. Perché un foglio riempito svogliatamente, una volta assolto il compito protocollare, sparirà velocemente nei gorghi dell’oblio, mentre il piacere, la voglia, l’interesse per il Sapere ottenuto attraverso l’incoraggiamento non può che germogliare nel tempo e dare buoni frutti.
Come è capitato al Francesco di fantasia di questa lettera, come è capitato anche a me, che sono il vero personaggio di questa storia, dopo essere stato guardato negli occhi con simpatia e comprensione.
Gianni Dessanti
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