Buongiorno, leggo sulle pagine dei giornali specialistici come il vostro che gli insegnanti dicono “no” alle classi pollaio imputando a ciò la difficoltà di insegnamento.
Credo che la scuola vada indietro anche per questo, perché è un continuo lamentarsi senza costrutto. Certamente lavorare con pochi alunni significa spendere maggiormente le proprie energie sedimentando i concetti, facendo maggiore pratica, seguendo percorsi mirati, non lasciando indietro nessuno ed è la soluzione auspicabile.
Tuttavia, quanto gli insegnanti siano motivati, quanto siano organizzati, quanto effettivamente vogliano investire sulla classe varia da insegnante ad insegnante e da scuola a scuola. Posso portare due esperienze una diretta e una indiretta. Quella diretta racconta di una classe primaria di 7 bambini dove in italiano si leggono sbrigativamente i quattro libri senza nemmeno schedulare durante la settimana quando c’è l’ora di grammatica, quando scrittura, quando lettura costringendo il bambino ad uno zaino pesantissimo ma le critiche genitoriali vengono rimbalzate. Nell’ora (unica) di storia si guardano i video de “I Pasticciotti” e la povera maestra di matematica fa i salti mortali per sedimentare i concetti e per fare qualche laboratorio di scienze.
Soprassediamo su altre materie e su ore extra aggiunte dalla scuola che di fatto sono un parcheggio per arrivare alle h.14 quando ritirerai il figlio da scuola. L’esperienza indiretta parla di 11 alunni alla primaria prevalentemente maschietti tutti apparentemente ingestibili, movimentati e mandati dalla dirigente scolastica a periodici controlli al Sim (servizio igiene mentale).
Nel 1978 eravamo 28 in classe e avevamo una maestra unica, la quale seguiva ogni alunno uno per uno e ci ha trasmesso conoscenze che mi sono state struttura portante fino all’università.
Gli alunni si accorgono di come insegna un docente e il rispetto e l’autorevolezza dipende anche da quanto un alunno riconosce nel maestro cultura e interesse nei suoi confronti.
Lo stimolo si trova nel costruire una comunità, non nelle mille pippe della scuola di oggi, compresi profili psicologi che vanno lasciati agli specialisti e non usurpati da chi deve svolgere un altro mestiere dove una pedagogia fatta bene e soprattutto un’attenzione allo studente e all’importanza della formazione sarebbero sufficienti, così come sarebbe fondamentale che l’insegnante non fosse indottrinato dalle mille guide su come e cosa insegnare, ma facesse fruire cultura libera e pensiero non incasellato stimolando critica, discussione, comunicazione.
Se poi vogliamo parlare della noia e della rabbia dei ragazzi francamente devo spezzare una lancia a favore di chi sei ore al giorno in classe spreca il suo tempo saltando da una materia all’altra studiata in modo impersonale e passivo per poi tornare a casa e dover recuperare il lavoro non svolto in classe il pomeriggio (almeno per le famiglie che ancora seguono i figli).
Cari insegnanti, la dignità si conquista non a suon di proteste, ma con il lavoro serio e costante. Ne esistono ancora pochi, e molti stanno andando in pensione, cui deve andare un plauso enorme, ma la scuola non vuole più né formare, né essere un punto di riferimento per la società e invece di risolvere i problemi educativi delle famiglie aggiunge conflitti. Allora se poi manca il rispetto della società per la scuola e gli stipendi non remunerano abbastanza forse la causa è questa. Siano gli insegnanti gli artefici del loro cambiamento, si riprendano gli insegnanti la loro dignità e lo stato dovrà rendersene conto e la società tutta.
Francesca Caricato
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