Educare è equipaggiare il motore di un’imbarcazione…
Serve prendere le misure, pesare, equilibrare…
e mettere tutto in funzione.
Ma per questo si deve avere nell’animo un po’ del marinaio… un po’ del pirata… un po’ del poeta… e un chilo e mezzo di pazienza concentrata.
Ma è consolante sognare, mentre si lavora, che quella piccola imbarcazione, quel fanciullo, prenderà il largo, se ne andrà lontano.
Sognare che quel bastimento porterà il carico di parole ascoltate verso porti distanti, verso isole lontane.
Sognare che quando si sarà messa a dormire la nostra barca, nuove barche porteranno inalberata la nostra bandiera.
Nella firma di Gabriel Celaya è inscritto il tèlos, lo scopo interiore di un sano ed ottimistico rapporto educante: durante il viaggio qualcuno scende per salire su un’altra nave, mentre altri, carichi di tesori nuovi, salgono e si uniscono alla “ciurma”, per continuare il lungo giro. Mezzo in dotazione: una bussola di conoscenze; è quanto serve per battezzare un futuro di buon livello.
La vita, come arte dell’incontro, richiede, appunto, nella carne di un imperativo etico, sapienza e non livellamento: chi ha sapere, ha potere (possibilità) nelle mani.
Un sistema scolastico a scrocchio di chances è una burla, una ciancia: accarezza la democrazia, perché declinata su tutti, ma si fa elitaria solo per quei pochi che sanno.
C’è da dire, però, che per tutte le cose tutto scorre nel sipario drammatico delle vicende umane: il tempo, come dimensione di senso nel ritmo della convivenza civile, appartiene solo a chi sa, non a chi elude il sapere nelle dedaliche vie dell’ignoranza vincente.
E’ pur vero che “da noi – non c’è niente da fare – la furbizia, che è una delle più spregevoli manifestazioni di assenza di talento, continua a sembrare una virtù (Michele Serra). Di primo acchito questa diminuzione di merito suona destabilizzante per la generazione 2.0: il grido di avercela fatta a scapito degli altri, e per giunta con il massimo risultato ed il minimo sforzo, è amarezza infinita.
Un paletto di attenzione, ragazzi: è solo la tronfia voce del ladro, in loro, a parlare! Si resta bruti ed informi nella privazione di conoscenze. Ironiche macchiette da macchiaioli di retroguardia!
La cultura come arte del coltivarsi è terreno fertile di bellezze: presuppone pazienza, una virtù che, nell’intimità del suo verbum, significa passione ed alimento. L’ignoranza è solo bruta: una sopravvivenza animale, cannibalistica, di bassa macelleria. Occorre predestinarsi al meglio, rendendo lustro ad uno spazio di terra, la nostra, che non può essere immortale solo all’indietro.
Senza cultura un popolo muore, oggi quanto allora: la cultura è il vero trionfo della democrazia. L’ignoranza, a memoria d’uomo, non è mai stata longeva!
di Francesco Polopoli
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