Esiste da sempre, nasce con la scuola e attraversa i secoli senza mai invecchiare: è il sempreverde della Lingua Italiana.
È una sorta di highlander che percorre e valica, impavido, tutti gli ordini e gradi di insegnamento: è il Tema, padrone incontrastato e prova regina adottata da quasi tutti i docenti di lettere. Provate a chiedere un po’ in giro, fate una breve indagine tra colleghi e conoscenti, il risultato sarà uno e uno solo: la stragrande maggioranza dei docenti di scuola secondaria – dal primo al secondo grado, dai licei classici agli istituti professionali – continua ad utilizzare il tema in classe come unica tipologia di prova per la valutazione delle competenze di scrittura.
Perché? Tenteremo qui di dare una risposta ma anche di aprire nuove piste e spunti di riflessione. Anche se, in realtà, di riflessione sull’argomento ce n’è stata tanta, persino in quel passato remoto che sono gli anni Settanta del secolo scorso.
Qualche mese fa, infatti, la rivista Insegnareonline ha riproposto un articolo del CIDI (una tra le più importanti e rappresentative associazioni di insegnanti) datato 3 aprile 1974 e pubblicato sull’Unità. In quell’occasione la sezione romana dell’associazione poneva l’accento sul fatto che la pratica del tema ha come presupposto teorico l’esistenza di un astratto “modello” di “bello scrivere” o quanto meno di “scrittura corretta”. In realtà invece, e specialmente dentro società ad articolazione complessa quali sono le moderne società industriali, esistono numerosi e diversi “stili”, “linguaggi speciali” o “varietà” (letteraria, scientifica, tecnica, burocratica, giuridica, giornalistica ecc. ecc.) del linguaggio, che appare cosi come un fatto “complesso” e non riducibile a un “modello unico” di bello scrivere”. Il tema veniva, dunque, messo all’indice in quanto prova inadatta a valutare alcunché.
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Più di quarant’anni dopo, nulla è cambiato, il tema è sempre lì. Vero è che le prove richieste agli studenti alla fine della secondaria di primo grado e agli esami di stato sono molto conservatrici, ma è altrettanto lecito chiedersi quanti saranno mai gli studenti che dopo il diploma – nella vita “vera” – si ritroveranno a dovere scrivere un tema o un’analisi del testo letterario piuttosto che un saggio breve o un articolo di giornale.
Magari, più verosimilmente, dovranno scrivere una lettera di motivazione e mettere a punto un efficace Curriculum Vitae in vista di un colloquio di lavoro; oppure, chissà, dovranno scrivere una mail per richiedere merci o servizi, per sollecitare qualcuno a fare qualcosa, per protestare dopo avere acquistato online una telecamera difettosa. Insomma, tutte tipologie di scrittura di uso comune che a scuola, di solito, non sono neanche prese in considerazione.
Il problema è di facile soluzione: basterebbe che i docenti di Italiano, senza per questo abbandonare il tema – al quale tutti noi siamo molto affezionati perché ha scandito una parte importante della nostra vita – progettassero sempre di più percorsi di scrittura più strettamente legata a quello che sarà il vissuto quotidiano dei ragazzi una volta usciti dalla Scuola.
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