Attualità

Caro energia e materie prime, alcune scuole britanniche non riescono più a garantire il servizio mensa agli studenti

L’attuale conflitto in corso ha ridimensionato in maniera diretta e sensibile il rapporto con la produzione e il consumo, facendo precipitare sistemi industriali, imprese e famiglie in un baratro fatto di costi ed arretrati. Le scuole, come edifici pubblici spesso di categoria energetica mediocre, soffrono ora più che mai a causa degli scarsi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

Le cucine, in appalto a soggetti terzi che offrono il servizio mensa, chiudono per via dei costi delle utenze: il cibo viene preparato altrove, presso ambienti più attrezzati e trasportato presso le sedi scolastiche, anche le più remote (il caso scozzese con i droni telecomandati è un valido esempio). Numerosi istituti, in ogni caso, non possono più garantire i pasti a scuola per via dei costi che gravano sul portafogli privato delle singole sedi: ciò si scontra con le necessità delle famiglie, le quali chiedono maggiore supporto alimentare agli istituti scolastici per gli studenti e le studentesse, visti i costi gravitanti sulla classe medio-bassa.

Il caso anglosassone: è guerra tra famiglie ed istituti. La morsa dei costi e l’assenza di un dialogo costruttivo

I pasti nelle scuole pubbliche del Regno Unito sono pagati in parte dagli utenti ed in parte dal Ministero dell’Istruzione nazionale che remunera aziende private del campo della ristorazione su larga scala. Le famiglie, specie nell’area di Birmingham, sono sul piede di guerra, assistendo quasi ad un raddoppio del costo dei pasti scolastici. I pranzi scolastici gratuiti sono forniti a tutti i bambini dai 4 ai 7 anni in Inghilterra, ma la maggior parte dei genitori di bambini più grandi deve pagare circa 2,20 sterline al giorno affinché lo studente abbia un pasto caldo.

Potrebbe sembrare una limitata somma, ma enti di beneficenza e insegnanti affermano che sta diventando sempre più insostenibile per centinaia di migliaia di famiglie che lottano per far fronte alla peggiore crisi del costo della vita del Regno Unito in una generazione. Le famiglie richiedono, in quest’ottica, una maggiore collaborazione degli enti scolastici circa l’aumento dei prezzi dei pasti freddi o caldi, visto che l’inflazione nel Regno Unito ha raggiunto il massimo degli ultimi 41 anni con un valore pari all’11,1%, trainata in gran parte dai costi del gas e dell’elettricità che sono quasi raddoppiati rispetto allo scorso inverno durante il conflitto in corso.

Anche i prezzi di generi di prima necessità come latte, burro e pasta sono aumentati di circa il 30%. È in fase di ridimensionamento la normativa circa l’ottenimento dei pasti gratuiti grazie alle pressioni delle associazioni di categoria e rappresentanti delle famiglie maggiormente colpite dalla crisi.

E in Italia? Difficile bilancio tra qualità ed impatto ambientale.

La recente indagine di FoodInsider, relativa ai pasti somministrati nelle scuole circa porzioni, qualità e apporto nutrizionale si è conclusa spaccando lo stivale in due. In numerose province, tra cui Lecce, Cagliari e Rimini viene servito solo cibo locale. Alessandria e Reggio Calabria si confermano le peggiori in termini di qualità e porzioni, mentre nella Capitale sono serviti pasti con porzioni molto ridotte rispetto alla media.

Nonostante ciò, per una buona parte delle mense delle scuole della penisola (42%) è stato registrato un miglioramento sensibile dell’offerta, dovuto anche all’adozione dei Criteri Ambientali Minimi, introdotti con la normativa apposita, che assicura da agosto 2020 delle gare d’appalto concorse in maniera sostenibile per l’ambiente. Al momento i costi delle materie prime impattano indirettamente gli studenti ed i servizi attraverso la sensibile crescita dei costi di appalto per le aziende della ristorazione, con conseguente ripercussione sul pagamento dei servizi mensa da parte le famiglie. 

Andrea Maggi

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