I lettori ci scrivono

Caro Ministro, come spiego ai miei alunni che non sarò più il loro maestro?

Egregio Ministro, mi chiamo Bartolomeo Manno. Ho fatto il concorso straordinario per il posto comune alla scuola primaria (Lombardia). Mi trovo alla posizione 379 della graduatoria definitiva e spero di poter restare nella provincia di Brescia.

Sono di ruolo con riserva presso la scuola primaria di Ospitaletto (Bs). Nell’anno scolastico 2018/2019 la mia dirigente mi ha assegnato la classe prima A, dove ho insegnato Lingua italiana, Storia, Geografia, Arte e immagine, Musica e dove ho rivestito anche il ruolo di coordinatore di classe.

Il 28/06/2019 ho discusso e concluso positivamente il mio anno di prova con riserva. Con la domanda di utilizzo dovrei restare solo un anno a Ospitaletto, portando i miei alunni in seconda, garantendo loro la mia continuità didattica/educativa.

Mi domando: se con le prossime assunzioni non dovesse esserci il posto, la mia sede definitiva non sarà l’Ic di Ospitaletto e, senza la mia e la loro volontà, i miei alunni perderanno senz’altro la continuità didattica/educativa.

A rigor di logica non dovrebbe essere così, dato che dovrei portarli fino in quinta, per garantire loro una vera e autentica continuità didattica/educativa, espressione usata impropriamente nella contrattazione regionale, se di durata solo annuale.

E in terza, in quarta e in quinta? Non avranno più bisogno della mia continuità didattica/educativa? Mi dica lei come dovrò spiegare ai miei alunni e alle loro famiglie che dalla terza elementare in poi io non sarò più il maestro dei loro figli? Quali parole ed espressioni dovrò usare l’ultimo giorno di scuola, a giugno 2020, dato che non potrò usare “Arrivederci a settembre”?

Mi aiuti, per favore, fornendomi la sua riflessione in merito, perché mi troverò in seria difficoltà quel giorno, dopo aver costruito con loro, con le altre mie colleghe e con la mia dirigente scolastica un intero percorso di crescita umana e professionale. Lei come lo vivrebbe quel momento? Le scrivo in buona fede, senza secondi fini e senza alcuna retorica, ma considerando la sua autorità, autorevolezza ed esperienza.

 

Bartolomeo Manno

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