Egregio Signor Ministro Profumo,
essendo un’insegnante precaria semi-occupata non ho avuto molta difficoltà a trovare il tempo per scriverLe nella speranza di liberarmi di tutto il livore di cui Lei purtroppo è il motivo. Non me ne voglia, ma dopo un Ministro della Pubblica Istruzione che ha ritenuto possibile incrementare il sapere scientifico degli Italiani sottraendo spazio alla conoscenza della lingua italiana, credevo che nel mondo della scuola il fondo fosse stato toccato e che nessuno avrebbe potuto far peggio di chi L’ha preceduta. Lei invece è riuscito a sorprendermi inventandosi questa trovata del concorsone che mette in palio nientemeno che 11.542 posti e cattedre di personale docente; in verità si tratta di ben poca cosa se si considera che questa cifra va distribuita su tutto il territorio nazionale e fra le scuole di ogni ordine e grado.
Leggo infatti che per la mia classe di concorso (A052, Materie letterarie, latino e greco nel Liceo classico) i posti messi a concorso sono 3 in Umbria, 2 in Basilicata e Puglia, 1 in Liguria, Piemonte e Veneto. Leggo e rileggo e non credo ai miei occhi. Ma era necessario organizzare un concorso per assegnare una così esigua manciata di posti? Lei mi esorta a non essere di parte, a notare i 22 posti in Campania (la quantità più cospicua) e i 20 nel Lazio, nonché i 10 in Sicilia, la mia regione. Li ho notati, caro Ministro, ma la domanda non cambia. Era davvero necessario un concorso per assegnare posti che potevano essere attribuiti a costo zero semplicemente facendo scorrere le graduatorie nelle quali stazionano da anni insegnanti precari già abilitati tramite concorso, corso abilitante o scuola di specializzazione? Poi però il Suo governo piange miseria e raccomanda rigore, ma i soldi per simili ridicoli sprechi riesce a trovarli. Quindi, per quanto mi riguarda, la Sua trovata è solo demagogica e propagandistica.
Passiamo alle modalità di svolgimento del concorso. Trovo assolutamente illegittimo il fatto che per accedere alle prove concorsuali io debba superare in 50 minuti una prova di preselezione da settimana enigmistica “volta all’accertamento delle capacità logiche, di comprensione del testo, delle competenze digitali nonché delle competenze linguistiche” in una delle lingue comunitarie. Non amo sbandierare i miei titoli, ma la pazienza ha un limite. Dopo la laurea in Lettere classiche, ho conseguito non una (come sarebbe stato sufficiente), ma tre abilitazioni all’insegnamento, innanzitutto vincendo il concorso per l’accesso alla Scuola Interuniversitaria Siciliana di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (S.I.S.S.I.S.), quindi, una volta entrata, seguendo cicli di lezioni, sostenendo esami intermedi, che implicavano anche il possesso di competenze digitali, praticando il tirocinio nelle scuole e infine superando brillantemente l’esame finale, solo dopo aver dimostrato di possedere competenze linguistiche in una delle lingue comunitarie. Per tre volte, quindi, i rappresentanti locali delle istituzioni che Lei incarna mi hanno giudicata più che “abile” all’insegnamento e tuttavia lo Stato italiano, non riconoscendo validità nemmeno ai suoi stessi atti, ha ancora bisogno di accertare le mie “capacità logiche” e “di comprensione del testo” e così via. Ma un aspirante medico specialistico che si sia laureato, abilitato (una volta per tutte) e infine specializzato, dovrà ancora dimostrare di essere capace di fare il medico?
La triste verità, signor Ministro, è che ancora una volta ne avete inventata un’altra per tenerci impegnati in attività che, come al solito, fanno guadagnare tutti fuorché noi insegnanti. In“soli” otto anni di precariato, a mio discapito e a discapito della mia famiglia che, per fortuna (o purtroppo), ha potuto sostenermi, ha guadagnato l’Università, prima con la Scuola di specializzazione, che ci prometteva rapide assunzioni, e poi con le seconde e terze lauree, conseguite per accrescere (se non altro in modo veramente formativo) il gruzzolo dei titoli già accumulati solo allo scopo di mantenere la propria posizione in graduatoria, non di migliorarla, pena la possibilità di retrocedere “per essere stati superati” da altri colleghi, al pari di me “ricattabili” e coinvolti nella stessa folle corsa alla conquista di titoli. Per le medesime ragioni hanno guadagnato a mie spese le università telematiche venditrici di master e corsi di perfezionamento (questi davvero pseudo formativi), gli avvocati che hanno portato e portano avanti i nostri ricorsi, le case editrici e le librerie che hanno venduto testi costosi di preparazione ai test di ingresso e ora al concorso; infine, ultimamente, si sono aggiunti all’elenco i banditori di corsi di preparazione al concorso. Insomma la scuola è stata ed è un business per tutti tranne che per noi insegnanti e per i ragazzi, che sono stati e sono le vere vittime del precariato, dal momento che nessun percorso formativo serio può essere realizzato se manca, come è mancata e temo mancherà nonostante il concorso, la condizione irrinunciabile della continuità.
Non voglio tediarLa oltre con quello che Lei e il Capo del Suo governo quasi certamente archivierà come il solito piagnisteo di una meridionale affezionata all’idea del posto fisso. Ho sempre ritenuto che la professione dell’insegnante rispondesse a quella concezione di “lavoro che sembra recare un vantaggio” agli altri indicata da Tolstoj in La felicità familiare come uno degli ingredienti della più desiderabile delle felicità. Ma se Lei, o chi dopo di Lei, proprio insiste, sarò costretta a cambiare mestiere.
Cordialmente
Clara Grasso
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